Shakespeare, il Romanticismo e Walter Scott

Non è stato solo il Giubileo di Garrick a creare la reputazione di Shakespeare. In effetti doveva arrivare un movimento culturale più ampio per trasformare Shakespeare da vecchio anonimo drammaturgo a più grande genio che il mondo abbia mai visto.

Accade così che il giubileo di Garrick coincida con i primi anni del movimento romantico. Il Romanticismo è un movimento culturale che ha investito tutta l’Europa, ha avuto origine in Germania e poi si è diffuso anche in Gran Bretagna. Emerge un nuovo interesse per le arti creative, la natura, il soprannaturale e tutto ciò che si scontra con la razionalità che aveva dominato il periodo precedente dell’Illuminismo. Il grande scrittore Goethe immagina di contrastare l’architettura classica del Partenone di Atene con l’architettura gotica della grandi cattedrali europee. In un certo senso il passaggio dal classicismo del XVIII secolo al Romanticismo dell’inizio del XIX secolo era proprio così: un passaggio dall’armonia e dalla classicità al selvaggio e al gotico.

È così che alcuni aspetti di Shakespeare – le sue opere sul soprannaturale, Macbeth, La Tempesta, Sogno di una notte di mezza estate, la sua attrazione per la follia dei personaggi, il suo senso della passione – diventano sempre più centrali nella percezione del suo lavoro. Prima in Germania, poi in Inghilterra, scrittori creativi hanno preso esempio da Shakespeare. La Germania ha sempre percepito se stessa all’ombra della cultura francese. Un certo numero di scrittori tedeschi – Goethe e Schiller tra loro – decidono che c’è davvero bisogno di un nuovo tipo di dramma e di poesia, di stampo solo tedesco.

Per questo hanno guardato a Shakespeare. Dopo tutto egli era molto diverso dagli scrittori francesi. Non aveva influenze classiche. Era riuscito a mescolare il classicismo con il romanticismo, personaggi di alto lignaggio delle tragedie con personaggi più modesti della commedie.

È stato possibile estrapolare da Shakespeare qualcosa che i tedeschi potevano fare proprio e ed così che un dramma nazionale ha cominciato ad emergere, utilizzando il modello del dramma shakespeariano. Nel frattempo in Inghilterra, i poeti diventano sempre più introspettivi, interessati all’idea dell’immaginazione in se.

C’è un grande interesse da parte di scrittori inglesi quali William Wordsworth, Samuel Taylor Coleridge, John Keats e Lord Byron.

Tutti questi autori hanno cercato di scrivere delle opere per il teatro prendendo come esempio proprio quelle di Shakespeare. In verità, non molte di queste hanno avuto fortuna sul palco. Shakespeare era difficile da uguagliare in termini di scrittura drammatica, ma il suo spirito è entrato nelle lodi e liriche dei romantici.

Shakespeare ha influenzato anche il genere del romanzo nel Romanticismo, sia il romanzo gotico con elementi soprannaturali ripresi da opere come Macbeth e sia il  romanzo storico come quello di Sir Walter Scott. L’inizio del XIX secolo era un momento difficile per la storia scozzese e Sir Walter Scott, il grande romanziere del tempo, scrive proprio della sua nazione. Come i Tedeschi prima di lui, egli usa l’esempio delle opere storiche di Shakespeare come modello per esplorare l’identità nazionale nella sua Scozia.

British School; Sir Walter Scott at Shakespeare's Tomb

Scott arriva a Stratford-upon-Avon per visitare la tomba di Shakespeare e c’è un ritratto di lui in piedi in riverente silenzio di fronte alla pietra tombale del monumento eretto sui muri della chiesa dalla famiglia di Shakespeare.

I romanzi di Scott, usando l’esempio della storia shakespeariana come modo per creare un’identità storica scozzese, hanno avuto grande influenza in tutta Europa. Come ogni nuova nazione che nasce, la Scozia ha guardato a Scott per farne il poeta nazionale. Sir Walter Scott e Lord Byron erano gli scrittori più celebri del XIX secolo. Erano entrambi ossessionati da Shakespeare. Le loro opere sono state profondamente influenzate da Shakespeare ed è attraverso questa influenza che molti scrittori di tutta Europa sono giunti a Shakespeare e lo hanno guardato non come un poeta che apparteneva al passato elisabettiano ma come una forza vitale per creare nuove opere sia nel teatro, che nel romanzo o nella poesia.

Il ritratto di Scott, a Stratford, in reverente silenzio di fronte alla tomba e al monumento di Shakespeare è un meraviglioso simbolo di come nel periodo romantico dei primi anni del XIX secolo, Stratford sia diventata l’epicentro di un culto di Shakespeare che era europeo ma che stava diventando veramente mondiale.

Shakespeare e il Giubileo di Garrick

Nel corso del XVIII secolo, le opere di Shakespeare sono messe in scena sempre più di frequente. Egli sta diventando il centro della letteratura inglese. Siamo già verso la fine del secolo e, con un evento particolare, diventa persona degna di culto, quasi una divinità.

David Garrick è l’attore principale in Inghilterra nel XVIII secolo. All’inizio era stato il pupillo di Samuel Johnson. Johnson aveva iniziano la sua carriera come uomo di lettere. A lui si deve anche la produzione dell’intera bibliografia di Shakespeare.

Garrick calca il palco e presto surclassa tutti gli altri attori. Recita tutti i ruoli shakespeariani più grandi, e inizia a pensare a se stesso come al rappresentante prescelto di Shakespeare in terra. Intorno al 1760, si avvicina il bicentenario della nascita di Shakespeare, e Garrick inizia a pensare a come celebrarlo. Gli ci vuole qualche tempo. Infatti, è solo nel 1769 che è in grado di organizzare il grande giubileo di Shakespeare.

Avviene a Stratford-upon-Avon che, fino a quel momento, era stata una piccola città con un mercato con solo pochi fanatici di Shakespeare che arrivavano per vedere la sua tomba. In effetti, potremmo dire che la vera idea di turismo culturale – di andare nella contea, nel luogo di nascita di una persona, sia esso Napoleone o Mozart – inizia proprio con il giubileo di Garrick e con la sua idea di un pellegrinaggio a Stratford e la celebrazione di Shakespeare nel luogo dove è nato e dove è morto.

Tutti giungono per il giubileo. Viene fatta grande pubblicità all’evento. La stampa sta iniziando a prendere piede; per la prima volta ci sono quotidiani, le stampe, le incisioni e le caricature.

Sono stati presi accordi per spettacoli musicali. Garrick esegue una grande ode. Un tempio viene eretto dalle banche di Avon. Viene organizzata anche una corsa di cavalli. L’unica cosa che non faceva parte dei festeggiamenti era una rappresentazione di un’opera di Shakespeare – ci sono stati alcuni estratti ma non un’opera completa. Al centro della celebrazione giubilare c’era una grande processione per le strade di Stratford; le persone erano vestite come i personaggi di Shakespeare. In effetti, la tradizione di una celebrazione annuale per le strade di Stratford continua ancora oggi. Ogni mese di aprile, in occasione del suo compleanno, c’è una processione per le vie della città che termina con la posa di fiori sulla sua tomba nella chiesa della Santa Trinità.

Come per molti altri eventi inglesi, il tempo ha giocato un ruolo importante. L’ultimo giorno, la corsa di cavalli viene investita dalla pioggia. Il fiume Avon straripa. E tutto si trasforma in un disastro. Eppure la gente ritorna a Londra con un fortissimo senso che Stratford esista davvero e che Shakespeare non sia più solo il miglior drammaturgo inglese, ma il dio della cultura inglese. Garrick stesso ha approfittato della grande pubblicità legata al giubileo. Un’opera sul giubileo viene messa in scena sul palco di Londra e, naturalmente, come in tutti questi tipi di manifestazioni, ci fu stato un grande commercio di oggetti e souvenirs.

Sono giunti fino a noi ci sono una serie di cimeli originali proprio del giubileo di Garrick del 1769.

Garrick Jubilee Souvenir Medal and Ribbon Bow, 1769.

Per esempio, questa è una medaglia commemorativa. Ha un nastro in modo da essere appuntata. Sul fronte è incisa in rilievo l’immagine di Shakespeare; intorno ci sono le parole “we shall not look upon his like again”, parole di Amleto applicate a Shakespeare. Nella parte posteriore, le parole recitano così: “giubileo a Stratford in onore e in memoria di Shakespeare, settembre 1769, D.G. Amministratore”. Garrick viene quindi indicato come l’amministratore e l’organizzatore della manifestazione. Egli considerava se stesso come il guardiano del santuario.

Shakespeare nella stampa del XVIII secolo

La sopravvivenza di un’intera produzione letteraria dipende – o almeno era così prima dell’avvento di Internet – dalla stampa. Dalla fine del XVII secolo, Shakespeare inizia a diventare popolare nei teatri. Inizia a essere ritratto, e i critici incominciano a scrivere di lui con ammirazione, anche se mantengono ancora qualche dubbio.

Il primo folio delle sue opere, pubblicato postumo dai suoi amici e colleghi nel 1623, viene ristampato nel 1632 e di nuovo nel 1664 e di nuovo dopo il 1680. Quello che serviva era modernizzare, di volta in volta, il linguaggio. Il linguaggio inglese si era evoluto, particolarmente nell’ortografia e nella punteggiatura. È nel XVIII secolo che un drammaturgo e scrittore di nome Nicholas Rowe produce la prima edizione moderna di Shakespeare. Invece della vecchia versione a doppia colonna e dell’ortografia obsoleta, il libro viene diviso in sei volumi, l’ortografia modernizzata per dare l’aria di un lavoro nuovo e al passo con i tempi. Rowe include nella sua edizione anche la vita di Shakespeare: “le opere di Sir William Shakespeare raccolte in sei volumi, riviste e corrette, con un accenno alla vita e agli scritti dell’autore, di N. Rowe, 1709”.

rowe

Questa è la prima occasione in cui la biografia di Shakespeare viene raccontata, sebbene in parte fosse nota tramite il sentito dire o i pettegolezzi piuttosto che grazie a documenti effettivi.

Quindi Rowe mette le basi per la scolarizzazione delle opere di Shakespeare e viene seguito, nel XVIII secolo, da una serie di altri editori, spesso poeti e scrittori stessi. Dalla fine del XVIII secolo, la biblioteca di qualsiasi gentiluomo deve includere una raccolta completa, finemente rilegata in pelle, delle opere di Shakespeare, accuratamente edita sulla base dei testi originali, ma con le note per spiegare termini obsoleti o riferimenti storici.

Nel teatro, le opere vengono eseguite sempre più spesso, ma le versioni non sono le stesse contenute nelle edizioni stampate da Rowe e da successori come Pope. In teatro, i lavori vengono ancora adattati per conformarsi alle convenzioni del tempo. Esistono moltissime edizioni teatrali. Esitono le trascrizioni delle versioni delle opere messe in atto nel XVII e nel XVIII secolo e non sono affatto come li immaginiamo leggendo i testi autentici. storia di king learQuesta è  “La storia di Re Lear, messa in atto al Queen Theatre, rivista e modificata, di N. Tate”. È stata scritta da Nahum Tate; la sua versione prevede un lieto fine in cui Lear viene rimesso sul trono e Cordelia, la figlia virtuosa, si sposa con Edgar. Nell’opinione di Nahum Tate, una tragedia dovrebbe includere le morti dei personaggi malvagi ma la ricompensa e un premio per quelli virtuosi. Cordelia è la figlia virtuosa. Lei non dovrebbe morire (come nel testo originale di Shakespeare), quindi il testo viene modificato; giustizia poetica deve essere fatta – Cordelia deve sopravvivere.

Poi abbiamo Macbeth. Shakespeare ha modificato la descrizione originale delle fatidiche sorelle contenuta nelle Cronache Holinshed, ma le sue streghe vengono di nuovo modificate nel teatro del tardo XVII secolo. Questo diventa “Macbeth, una tragedia. Con tutte le alterazioni, gli adattamenti, le aggiunte e le nuove canzoni. Ora messo in scena al Duke Theatre”.macbeth Perché ora abbiamo i teatri al coperto al posto di quelli all’aperto, ci sono spettacolari macchinari che possono essere usati sul palcoscenico. Puoi far volare le streghe su manici di scopa, e mentre volano puoi far cantare loro un paio di canzoni. Il Macbeth viene rivisto come un teatro musicale. Oppure abbiamo il Riccardo III. Il manager-attore Colley Cibber, una grande celebrità del teatro del primo XVIII secolo, ha prodotto la sua versione, “La tragica storia di re Riccardo III, come è stata messa in scena al Teatro Reale di Drury Lane, contenente le angustie e la morte di re Enrico VI”. Potrà sembrare strano perché la morte di Enrico IV avviene appunto nell’Enrico IV e non nel Riccardo III. Quello che ha fatto Cibber è prendere spunto dall’Enrico IV per alcuni grandi e importanti discorsi e metterli in bocca a Riccardo III prima che diventi re. Cibber, che recitava proprio la parte di Riccardo III, ha voluto ottimizzare il suo ruolo.

Ha anche aggiunto alcune poche righe che Shakespeare non ha mai scritto. Quando respinge il suo seguace, il duca di Buckingham, dice:

Tagliategli la testa! È troppo per Buckingham”

Questo è forse uno dei versi più famosi – ma era di Cibber, non di Shakespeare (quando Laurence Oliver fa il film di Riccardo III, dopo la Seconda Guerra Mondiale, include anche il verso contenuto nell’adattamento di Cibber). Verso la fine del 1700, quasi tutte le commedie di Shakespeare sono entrate nel repertorio teatrale. Ma la maggioranza di queste sono versioni alterate anche se solo in alcuni dettagli. A volte è il linguaggio, a volte la trama e sempre per renderli adeguati al XVIII secolo.

Romeo e Giulietta per esempio, ora prevede un balcone al posto di una finestra. E nel 1770, un uomo di teatro chiamato John Bell ha prodotto una serie di edizioni. Tra queste “Otello, una tragedia di Shakespeare, come è stato messo in scena al Teatro reale in Drury Lane, ristampato dal libro del suggeritore, con il permesso dei manager, del suggeritore Mr Hopkins”.

Quindi, essere un appassionato di Shakespeare alla fine del XVIII secolo significava avere a disposizione due differenti raccolte dei suoi lavori, il testo di lettura e il testo della rappresentazione teatrale. Probabilmente il testo per la lettura preferito sarebbe stato quello del grande letterato del tempo, Samuel Johnson. Nel 1765, ha prodotto la bibliografia completa di Shakespeare divisa in otto volumi, pieni di note – note esplicative ma anche commenti critici sulle opere.

I volumi si aprono con una magnifica prefazione, in cui parla della grandezza di Shakespeare come scrittore. Qui, Johnson confuta una volta per tutte la vecchia critica francese (il criticismo neoclassico) che non voleva la mescolanza di tragedia e commedia, secondo la quale re e pagliacci non potevano stare nella stessa opera. Johnson dice che “le opere di Shakespeare non sono né tragedia né commedie. Piuttosto, sono rappresentazioni realistiche che ci mostrano la vita così com’è. Nella vita reale, le cose tragiche e comiche vanno avanti insieme”.

Johnson prosegue dicendo che “nella vita reale, un gruppo di persone sta tornando da un funerale; allo stesso tempo un altro gruppo di persone sta andando fuori al bar. Questa è la vita. Shakespeare non è conforme alle regole dell’arte come stabilito in epoca classica, ma fornisce uno specchio alla natura”. Questo è ciò che sostiene Johnson nella sua prefazione.

Niente potrebbe piacere a molti e per lungo tempo se non delle rappresentazioni di carattere generale…Shakespeare è, primo fra tutti gli scrittori, il poeta della natura…il poeta che può mostrare ai suoi lettori uno specchio fedele dei costumi e della vita. I suoi personaggi…sono la vera e propria progenie della comune umanità, quella che sempre ci fornirà il mondo, e l’osservazione si trova sempre”.

I personaggi di Shakespeare ci mostrano gli esseri umani come sono realmente. Johnson dice che possiamo leggere Shakespeare e trovare i personaggi nel mondo che ci circonda. Sono opere davvero universali. È con questa idea di Shakespeare quale genio universale che la sua centralità nella tradizione letteraria dell’Occidente viene pienamente ristabilita nella metà del XVIII secolo.

SHAKESPEARE: il ritratto Chesterfield

Come si passa dalla morte di Shakespeare nel relativo anonimato di Stratford-upon-Avon nel 1616 a scrittore più famoso nella storia del mondo?

È una lunga storia e nei primi 50 o 60 anni, c’è un movimento abbastanza lento. I teatri sono chiusi nel 1642 quando i Puritani prendono controllo nella nazione. Hanno sempre disapprovato il teatro o ora hanno il modo per dimostrarlo.

Nel 1660, la monarchia viene restaurata, re Carlo II ritorna dalla Francia e i teatri vengono riaperti. Ora sono luoghi al coperto, molto diversi dai teatri precedenti come il Globe. Shakespeare è una parte importante del repertorio, tuttavia non è considerato un vero genio dalle persone del suo tempo. Le sue opere vengono messe in scena ma quelle di Beaumont e Fletcher sono recitate con più frequenza e quelle di Ben Johnson sono forse le più ammirate.

Tuttavia, in quegli anni di restaurazione, l’ammirazione per Shakespeare inizia a crescere. John Dryden, che diventa poeta laureato, scrive numerosi influenti saggi lodando Shakespeare per la sua grande fede nella natura. Inizia ad esserci interesse sulla vita di Shakespeare e sul suo aspetto fisico. Diversi biografi e memorialisti collezionano dettagli sulla sua vita, anche se dobbiamo aspettare il 1709 per vedere la pubblicazione della prima biografia.

Per quanto riguarda il suo aspetto, esistono almeno due ritratti interessanti eseguiti durante il periodo della restaurazione. Uno di questi è diventato noto come il ritratto Chesterfield, dal nome di uno dei proprietari. È particolarmente interessante perché fa fede all’unico ritratto di Shakespeare dipinto mentre era ancora in vita ma è stato elaborato, esagerato; rende Shakespeare una figura quasi superumana.

Borsseler, Pieter, active 1664-1687; The Chesterfield Portrait of William Shakespeare (1564-1616)

Il dipinto eseguito durante la vita del poeta, ad opera probabilmente di un artista di nome John Taylor, oggi è conservato alla National Portrait Gallery di Londra. È quell’immagine familiare di un Shakespeare stempiato, con un orecchino e un semplice tunica nera con colletto bianco.

Il pittore del Chesterfield, Zuccaro, ha ovviamente visto il ritratto originale ma poi lo ha elaborato. L’orecchino c’è ancora, il colletto è cambiato così come la posizione della mani. L’originale vede il poeta a mezzo busto. Nel Chesterfield, Shakespeare tiene in una mano una copia del primo folio, la collezione dei suoi lavori e con l’altra indica agli osservatori che nel testo sono contenuti saggezza, grandezza e genialità. Un piccolo drappo dietro di lui da dignità alla sua figura di gusto classico e antico. È un’immagine molto grande, un’immagine di uno scrittore che le persone stanno iniziando a considerare molto speciale.

Nonostante questo, sono le opere di Beaumont e Fletcher a essere messa in scena più di frequente e anche quando sono le opere di Shakespeare, sono spesso degli adattamenti. Le persone nel tardo XVII secolo e poi nel primo XVIII pensavano che il linguaggio di queste opere fosse più sofisticato, meno grezzo rispetto a quello del tempo di Shakespeare, e spesso quindi modificavano le opere del drammaturgo.

Allo stesso modo, c’era il sentimento (forse influenzato dal tempo che la corte di re Carlo aveva passato in continente) che la tragedia e la commedia dovessero essere tenute separate; che la tragedia dovesse essere dignitosa e solo la commedia divertente. Nel teatro francese del tempo, c’era un forte senso che tragedia e commedia non dovessero essere mescolati in una sola opera. Quindi è per questo che gli scrittori adattano Shakespeare; eliminano le parti divertenti dalle tragedie. Per esempio, il ruolo del giullare è eliminato dal Re Lear.

Gradualmente però, Shakespeare diventa maggiormente rispettato e, bene presto, le sue opere vengono trattate con rispetto dagli editori.

SHAKESPEARE: La Tempesta nel primo folio

Così Prospero rinuncia al suo libro magico e ai suoi poteri. La storia sembra avviarsi ad una conclusione. Egli sembra perdonare il fratello cattivo Antonio, sebbene Antonio sia stranamente silenzioso nella risposta. Immaginiamo un futuro felice per la prossima generazione, l’unione dinastica tra Milano e Napoli dal momento che Fernando e Miranda si sono sposati. Ma forse abbiamo un sentore dei problemi futuri. Vengono rivelati durante una partita a scacchi: Miranda accusa Ferdinando di barare – non l’inizio migliore per un matrimonio. Poi Prospero parla di ritirarsi nella sua Milano e pensa alla sua tomba. Parla per ultimo nell’Epilogo e sembra quasi esserci un’analogia tra lui che abbandona la sua magia e Shakespeare che rinuncia alla sua arte.

Questo è il modo in cui veniva interpretata durante il Romanticismo, nel primo XIX secolo. Il grande poeta e critico romantico, Samuel Taylor Colerdige, ha ritenuto che Prospero fosse un alter ego di Shakespeare. Al tempo di Coleridge, le persone iniziano, per la prima volta, a lavorare seriamente sulla cronologia delle opere di Shakespeare. Era stato calcolato che La Tempesta fosse una delle sue ultime opere teatrali.

Oggi è generalmente accettato dagli studiosi che La Tempesta sia l’ultima opera scritta dal solo Shakespeare. Sappiamo infatti che, in seguito, ha scritto altre opere (Enrico VIII e I due nobili congiunti) in collaborazione con un giovane drammaturgo, John Fletcher.

Sembra che Shakespeare si sia assunto il compito della formazione di Fletcher fino a farlo diventare il nuovo drammaturgo de Gli Uomini del Re. Tutto questo suggerisce che Shakespeare stesse cominciando a pensare al ritiro. Non sappiamo molto della sua salute, ma negli ultimi anni di vita ha trascorso sempre più tempo a Stratfordque -upon-Avon. Continua comunque a recarsi a Londra. Compra anche una proprietà – la portineria a Blackfriars, molto vicino al teatro coperto della sua compagnia. C’è inoltre una notizia che lo vede a Londra diciotto mesi prima della sua morte.

Quindi, è un po’ una leggenda che sia sia completamente ritirato dal mondo del teatro per cominciare una nuova vita da gentleman di campagna. Ma non c’è dubbio che ci sia una sorta di fine carriera, carriera che volge al termine con La Tempesta. Proprio questa opera racchiude tutte le sue migliori capacità: la sua arte nell’arte di Prospero…ed è per questo che l’addio di Prospero suggerisce quello di Shakespeare.

Ma il libro di Shakespeare? Non viene abbandonato come quello di Prospero. Piuttosto, i suoi libri sono stati salvati dalla sua compagnia teatrale. Durante la sua vita e carriera, circa metà dei lavori sono stati pubblicati come piccoli libretti da uno scellino noti come “quarti”. Erano testi a buon mercato e pronti da leggere. Questo è segno che Shakespeare e la sua compagnia fossero felici di vedere i proprio lavori stampati. Ma solo metà hanno visto la stampa durante la vita del drammaturgo.

L’anno della morte di Shakespeare, 1616, il suo amico e rivale Ben Johnson raccoglie tutte le sue opere in un folio, un grande e pesante volume simile, nella fattura, alle Cronache di Holinshed o le Vite di Plutarco, grandi collezioni di opere classiche.

Un paio di anni dopo, un editore non autorizzato, un certo Pavier, sembra aver avviato una raccolta di tutte le opere di Shakespeare. Otto o nove opere, attraverso l’impaginazione, venivano rilegate insieme. Ma non era una pubblicazione autorizzata dalla compagnia teatrale. Heminges, Condell o Burbage (grande amico di Shakespeare) ottengono un ordine restrittivo per Pavel e chiunque altro riguardo la stampa dei lavori di Shakespeare. Essi stessi hanno cominciato a raccogliere i testi già pubblicati, i manoscritti di quelli che non avevano e a mettere insieme un volume poi pubblicato nel formato del folio. Questo libro si intitolava Commedie, Storie e Tragedie del maestro William Shakespeare. Era una raccolta di 36 lavori, autorizzati dalla compagnia. Burbage è morto, così sono stati Condell e Heminges, forse con l’aiuto di Ben Johnson, a curare il processo di stampa. Il volume prevede una dedica al conte di Pembroke, patron della compagnia teatrale, e al fratello, conte di Montgomery. Un saggio di prefazione degli attori parla delle abilità di Shakespeare come scrittore, di come i manoscritti sono giunti nella loro mani, dei dubbi sulla paternità di alcuni lavori. C’è anche un poema dedicatorio di Ben Johnson che descrive Shakespeare come il Cigno di Avon, il poeta di Stratford, il più grande drammaturgo della storia.

Se non fosse stato per il folio, metà delle opere di Shakespeare sarebbe andata persa. La cosa davvero interessante, per quel che riguarda La Tempesta, è che viene stampata per prima. Se si sfogliano le pagine iniziali si può leggere la dedica, la lista dei contenuti, l’elenco degli attorie poi il testo vero e proprio. Dal punto di vista teatrale, è un’opera abbastanza semplice e breve. È stata la prima opera stampata perché il manoscritto era il più facile da reperire. Ma c’è anche un motivo simbolico. È un’opera ricca di arte e di teatro. Lo stesso Prospero sembra un drammaturgo, un direttore di teatro. Prospero è come Shakespeare. La Tempesta è una vetrina dell’arte di Shakespeare e sembra giusto stampare proprio il suo ultimo lavoro, così ricco nel testo, complesso ma anche semplice.

SHAKESPEARE: Prospero, John Dee e la magia

Non è solo la musica ad essere simbolo di una speciale armonia tra l’essere umano e la natura – può esserlo anche la magia. Quando pensiamo alla magia oggi, mettendo da parte i giochi di prestigio e intrattenimento, forse pensiamo subito alla magia nera, all’idea di strega o stregone, in contatto con le forze del male. Ai tempi di Shakespeare, vi era la convinzione che ci fosse sia la magia nera che quella bianca; le persone credevano nelle streghe, nella possibilità di poter evocare il diavolo, come il dottor Faust fa nella famosa opera di Christopher Marlowe, ma credevano anche nella possibilità di una sorta di magia filosofica, una magia bianca, in cui la grande mente umana poteva lavorare in unione alle forze della natura al fine di compiere il bene.

Questo è esattamente il modo in cui Prospero concepisce se stesso. Veniamo a sapere all’inizio dell’opera che, mentre è duca di Milano, ha passato moltissimo tempo nella sua biblioteca a studiare libri di magia. In molti aspetti, è simili a Faust; ma mentre Faust è guidato da forze oscure, Prospero impara ad usare la magia per ottenere effetti armoniosi.

Quindi l’opera inizia con una tempesta non del tutto naturale perché è Prospero ad averla evocata. Ci dice che ha il potere – grazie al suo libro magico, al suo bastone e al cerchio – di creare una tempesta o di placarla. In vari momenti dell’opera, lo vediamo impegnarsi ed esercitarsi con la magia. Sentiamo parlare di come ha liberato Ariel da una pianta e imprigionato Calibano nella roccia. Lo vediamo causare una sorta di rallentamento del tempo quando alcune persone stanno complottando contro di lui e vengono intrappolate in un boschetto.

Alla fine dell’opera, Prospero rinuncia alla sua magia. Comprende di averla usata per ottenere vendetta dei suoi nemici, ma capisce che è più importante affrontarli dal punto di vista umano e perdonarli. È curioso notare come non sia un altro essere umano a insegnargli l’importanza del perdono ma Ariel, lo spirito.

Prospero si rivolge ad Ariel con queste parole:

“E così a me;
sento che accade adesso;
ché, se tu che non sei che un soffio d’aria
sei toccato da tanta commozione,
io, che appartengo alla loro stessa specie,
e che provo le lor stesse passioni,
non mi dovrò sentire più di te
mosso a pietà di questo loro stato?
Anche se m’han ferito nel profondo
coi gravissimi torti che m’han fatto,
faccio che la ragione in me prevalga
a nobilmente contrastar la collera;
ché perdonare è più nobile agire
che vendicarsi. Essi sono pentiti,
ed io non spingerò il mio castigo
più in là d’un semplice aggrottar di ciglia.
Va’ dunque a liberarli, Ariele, presto.
Vo’ romper gl’incantesimi,
restituire a ciascuno di loro
la perduta ragione, a far che tornino
nuovamente se stessi.”

Sta parlando di perdono. È meglio perdonare che vendicarsi. Preferisce rinunciare al suo desiderio di potere, alla sua magia.

Poi prosegue:

“Le tombe hanno svegliato, al mio comando,
i lor dormienti, aperti i lor coperchi,
e li han lasciati uscire,
sì potente si dimostrò finora
la mia magica arte.
Ma ora all’esercizio di tale arte
io faccio abiura, nell’altro chiedendo,
come ultimo servizio, che produrmi
qualche istante di musica celeste
perch’io possa raggiungere il mio scopo
d’agire sovra i sensi di coloro
cui questo aereo incanto è destinato;
poi spezzerò questa mia verga magica
e la seppellirò ben sotterra
e in mare scaglierò tutti i miei libri,
che vadano a sommergersi più in fondo
di quanto mai sia scenso uno scandaglio.”

Alla fine Prospero rimane semplicemente nudo e se stesso. Non c’è più l’aiuto della magia. È un’immagine straordinariamente potente. Inevitabilmente, ci troviamo a domandarci se il pubblico del tempo avrebbe potuto credere all’esistenza di un uomo come Prospero, un uomo con dei poteri magici – l’abilità di usare una saggezza soprannaturale per piegare le forze della natura, chiamare delle tempeste. Chi può davvero dire cosa pensasse il pubblico? Ma è certo che ci fossero una o due persone, nell’Inghilterra e nell’Europa di Shakespeare, con la reputazione di grandi maghi. Il più famoso tra i due era John Dee. Inizialmente, era l’astrologo ufficiale della regina Elisabetta. In seguito, ha lavorato anche per Rodolfo II, imperatore del Sacro Romano Impero. Era conosciuto in tutta Europa per la grande saggezza, la sua incredibile biblioteca e anche per i suoi poteri magici.

john deeQui c’è un’incisione che lo ritrae; si vede mentre tiene in mano un paio di compassi e un mappamondo. Ha le esatte fattezze con cui noi immaginiamo Prospero: barba lunga, un mantello simile a quello dei maghi, e un mappamondo che ci ricorda di come La Tempesta sia un lavoro globale, un’opera sui viaggi e la geografia. L’inscrizione sull’incisione descrive Dee come “il più famoso tra i matematici inglesi”.

La musica, la matematica, la magia sono sempre state strettamente correlate. C’è un modello quasi matematico-magico nella musica, nell’armonia delle sfere. La grande padronanza di Dee della musica e della matematica ha anche avuto un effetto pratico. Egli ha scritto un trattato molto importante sulla navigazione e anche un trattato sulla riforma del calendario – ovviamente due opere che hanno a che fare con i numeri. Il trattato sulla navigazione, la sua traduzione di uno dei più grandi testi di matematica della Grecia classica, “Matematica” di Euclide, include alcune prefazioni dove parla della possibilità degli inglesi, attraverso la loro grande conoscenza della natura, di stabilire un impero. L’espressione “Impero Britannico” potrebbe trarre origine proprio da questi trattati di Dee. Ora, non si sta suggerendo che Prospero sia la versione teatrale di John Dee. Quello che emerge però è che Dee fosse una celebrità, un personaggio molto noto. La gente conosceva i suoi straordinari poteri mentali. Conosceva i legami tra magia, navigazione, esplorazione e potere.

Dee è ben presente nel mondo di Shakespeare, rimane sullo sfondo dell’opera, in perfetta analogia con Prospero. Ci aiuta a comprendere che la magia bianca di Prospero è veramente presa sul serio dal pubblico di Shakespeare.

Ma allo stesso tempo, Shakespeare, che vede sempre entrambe le facce della questione, rompe facilmente la distinzione tra magia bianca e nera. Prospero oppone costantemente la sua magia a quella della madre di Calibano, Sicorace, esiliata prima di lui sull’isola. Prospero considera quella della donna una magia nera, un male. Ma Sicorace e Prospero, in qualche modo, hanno gli stessi poteri.

Quando Prospero tiene il suo grande discorso sull’abbandonare la sua rude magia, alcune delle parole che usa, parlando dei suoi poteri magici, sono in realtà tradotte dalle “Metamorfosi” di Ovidio, autore che sappiamo ha influenzato moltissimo Shakespeare. Ma nel libro di Ovidio chi recita i versi che poi Prospero fa suoi? Non è un mago bianco, ma un mago nero. Non è un uomo di potere, come John Dee, ma qualcuno chiamato strega, una donna. È da Medea che vengono prese le parole di Prospero. Quindi, usando le parole di Medea, una strega, Prospero viene in un certo senso oscurato da Shakespeare con la sua grande oppositrice, Sicorace.

Il nostro giudizio di Prospero è questione di dibattito, di discussione. Per alcuni è una figura benigna, positiva. Per altri, è un elemento maligno. Forse lo stesso Prospero si rende conto di essere la causa della malvagità di Calibano:

“questa creatura delle tenebre,
la riconosco invece come mia.”

SHAKESPEARE: Calibano e la musica

Calibano. Cannibale. Calibano, uno schiavo selvaggio e deforme. Sembra tutto molto oscuro, abbastanza malvagio e le domande sul comportamento di Calibano rimangono aperte: cerca di violentare Miranda, partecipa alla ribellione, alla rivolta dei lavoratori; si unisce a Trinculo e Stefano in un complotto contro la corte.

Ma egli recita così:

“Padrone, non dovete avere paura.
L’isola è piena di questi sussurri,
di dolci suoni, rumori, armonie,
che non fanno alcun male, anzi dilettano.
A volte son migliaia di strumenti
che vibrando mi ronzan negli orecchi;
altre volte son voci così soavi,
che se ascoltate dopo un lungo sonno,
m’inducono di nuovo ad assopirmi;
e allora, in sogno, sembra che le nubi
si spalanchino e scoprano tesori
pronti a piovermi addosso, ed io mi sveglio
col desiderio di sognare ancora.

Stefano e Trinculo, i personaggi ribelli di classe inferiore, parlano sempre in prosa. La prosa è la lingua della gente comune. Il verso, invece, è tradizionalmente associato alle classi superiori. Non ci si aspetta di sentire Calibano lo schiavo parlare in versi – troppo lontani da lui; e di certo, non ci aspettiamo di sentirlo recitare i versi poetici più belli di tutta La Tempesta: questi versi sono musicali e si riferiscono proprio alla capacità dell’uomo di sentire la musica. Lo scambio di questa battuta avviene quando Ariel, lo spirito dell’isola, sta creando una musica eterea ed ultraterrena. Che cosa significa la musica per il pubblico di Shakespeare? La musica è estremamente importante nella sua cultura e anche nelle sue opere. Ci sono molte canzoni all’interno. Ma ci sono anche momenti di musica strumentale.

L’uomo che non ha la musica nell’animo” – dice Lorenzo ne “Il mercante di Venezia” – “ né si commuove alle dolci armonie, è nato ai tradimenti, alle rapine, al malaffare, ha foschi e tenebrosi come la notte i moti dello spirito..”.

La capacità di ascoltare la musica e di apprezzarne la concordia e l’armonia è visto come un segno distintivo di chi è pienamente umano, civilizzato – l’opposto di uno schiavo selvaggio e deforme.

praise musikeLa pagina a fianco è tratta da un piccolo libro intitolato “Elogio alla musica, di cui oltre l’antichità, la dignità e l’uso civile, è stato dichiarato legittimo anche l’uso nella congregazione della Chiesa di Dio”. È stato scritto nel 1580 a difesa dell’uso della musica in chiesa. I puritano, che non amavano le statue, i dipinti, le immagini scolpite e le rappresentazioni teatrali, non amavano nemmeno la musica. Amavano solo la fede espressa tramite parole pure. Quindi c’è stato un grande dibattito sul fatto se fosse appropriato avere la musica come parte integrante del culto.

L’autore di questo trattato fa spesso riferimento a cosa pensavano gli elisabettiani della musica in generale. Avevano una convinzione nota come “musica delle sfere”: l’idea che una sorta di armonia cosmica proveniente da Dio arrivi tramite i suoni, la concordia armoniosa delle diverse sfere, i pianeti del cielo che interagiscono fra loro. Il trattato, in lode della musica e della sua dignità, suggerisce molte cose su quello che può fare la musica. Un capitolo è intitolato “la soavità della musica”. Soave non significa sofisticato ma suadente, inteso come il potere di cambiare chi ascolta. In questo capitolo, la musica viene confrontata in modo esplicito con la poesia, la filosofia, l’armonia della natura. L’uomo è naturalmente felice con la musica e ci sono molte citazioni dai classici greci e latini sul potere della musica.

“Le bestie sono soddisfatte con la musica. I cavalli sono deliziati dalla musica. Gli uccelli e anche i pesci ne sono incantati.”

È l’idea che ci sia una sorta di armonia naturale. Che è proprio quella che ode Calibano. Poi, lo scrittore prosegue parlando degli effetti della musica. Si dice che la musica ha ogni tipo di effetto benefico, “mantiene gli uomini casti, li rende coraggiosi, toglie i peccati e vanifica la rabbia. Cura le malattie e scaccia gli spiriti maligni. Cura la pazzia”.

La musica è vivere in armonia con il mondo, rende umani e, in un certo senso, permette proprio agli uomini di entrare in contatto con Dio. Quindi il fatto di associare la musica a Calibano, anche se partecipa a “stratagemmi, tradimenti e spoglie” lo rende un personaggio particolarmente complesso e apre una finestra sull’importanza della musica nel teatro e nel mondo di Shakespeare.

SHAKESPEARE E MONTAIGNE

Una domanda frequente è “C’era qualcun altro nel mondo di Shakespeare con la sua stessa immaginazione?”. Ovviamente. C’erano altri drammaturghi e poeti a quel tempo ma Shakespeare sembra, in qualche modo, essere diverso dai suoi contemporanei inglesi perché si pone più domande, e lascia alcune questioni aperte, in sospeso. È un indagatore più irrequieto; ama analizzare entrambe le facce di una questione, sia essa politica, sociale, morale o psicologica. Questa apertura mentale è l’essenza di Shakespeare e una della ragioni per cui i suoi ruoli sono così gratificanti per gli attori è perché le sue opere possono essere rilette e adattate all’infinito.

Ma se c’è un’altra grande mente letteraria, a quel tempo, simile a quella di Shakespeare è quella del grande saggista francese Michel de Montaigne, che è vissuto e ha scritto soprattutto in Francia nella seconda metà del XVI secolo. Montaigne si ritira dalla vita attiva in politica e vive di contemplazione. Si rifugia nella biblioteca della sua tenuta in campagna e scrive saggi. Può di certo essere accreditato come l’inventore del saggio moderno. Il saggio – dal francese “essayer”, che vuol dire tentare, provare – significa testate le proprie idee; un esperimento sui proprio pensieri. In ogni saggio, egli inizia da un dettaglio su un aneddoto, magari su una persona che ha incontrato, un’idea che ha in testa, un libro che la letto. E continua ad esplorare le questioni che si sollevano in modo sempre diverso ma sempre aperto e scettico. Vuole sempre ritornare sulla questione e rivederla da un nuovo punto di vista.

Non sappiamo esattamente quando Shakespeare sia venuto in possesso di una copia di Montaigne, ma sappiamo che, nella seconda metà della sua carriera, dal 1604, è stato molto vicino alla saggistica di Montaigne, ovviamente nelle versione tradotta in inglese da John Florio, produttore di dizionari inglese-italiano. Era un uomo di lettere, ed era anche stato il tutor del Conte di Southampton, uno dei patroni di Shakespeare e che quindi Shakespeare deve aver conosciuto personalmente. Infatti, alcuni studiosi pensano che ci siano momenti in cui Shakespeare fa la parodia di Florio, in alcuni lavori come “Pene d’amor perdute”. Ci sono alcune parole che Florio inserisce nella sua traduzione inglese di Montaigne e che Shakespearele copia; le mette all’interno delle sue opere. Re Lear, per esempio, è un’opera profondamente piena del linguaggio di Montaigne tradotto da Florio.

Uno dei saggi tradotto da Florio, nella sua prima raccolta di saggi, si intitola “Sui cannibali”. Questo cattura l’attenzione di Shakespeare mentre scrive La Tempesta. Il nome Calibano suggerisce, in un certo senso, cannibale. È quasi un anagramma della parola. Calibano, sebbene sia una creatura misteriosa, sotto alcuni aspetti assomiglia a un nativo americano o un indiano del Nuovo Mondo. Quindi non sorprende che un saggio sui nativi del Nuovo Mondo abbia catturato l’attenzione di Shakespeare mentre preparava propro il personaggio di Calibano.

Montaigne racconta, nel saggio, di qualcuno che ha incontrato, che è stato in Brasile e ha incontrato alcune persone indigene. Sono una tribù, presumibilmente, di cannibali. Ora, ogni europeo avrebbe pensato a un cannibale come a un selvaggio, un barbaro e avrebbe pensato a se stesso come a quello sofisticato. Ma Montaigne fa quello che fa sempre Shakespeare – gira intorno all’idea. Per esempio, dice:

“Beh, che cosa fanno questi cannibali? Mangiano carne umana quando le persone muoiono. Invece noi cosa facciamo nella sofisticata e moderna Europa?”

Egli scrive al tempo dell’Inquisizione spagnola e del terrorismo religioso. Quello che fanno i Cristiani – i sofisticati Europei – qualche volta è bruciare le persone vive sul rogo per eresia. Sicuramente, bruciare vive le persone è peggio che mangiare le persone quando sono morte. Questo è quello che pensa Montaigne. Sovverte tutte le normali aspettative. Questo è quello che scrive dei cannibali:

“Trovo, per quanto mi sia informato, che non vi sia nulla in quella nazione di barbaro o selvaggio; a meno che gli uomini chiamino barbarie ciò che non è comune o noto a loro, come del resto non abbiamo altro scopo della verità e della ragione che l’idea delle opionioni e dei costumi del paese in cui viviamo.”

Quindi, quello che dice è che termini come “barbaro” o “selvaggio” sono termini relativi. Con “barbaro” o “selvaggio” noi intendiamo qualcosa di diverso dai costumi e dalle credenze della nostra società. Nella lista dei personaggi de La Tempesta, Calibano è descritto come uno schiavo selvaggio e deforme. Ma la lettura del saggio di Montaigne pone delle domande sul questa ferocia. Calibano è l’unico selvaggio dal punto di vista di Prospero, ma forse è il modo in cui Prospero lo tratta che lo rende selvaggio. Prospero, dopotutto, è arrivato sull’isola, l’ha sottratta a Calibano che viene usato come uno schiavo. Forse la barbarie – la bestialità di Calibano – non è qualcosa di insito in lui ma qualcosa causato dalle circostanze dovute all’educazione per mano di Prospero. Prospero forse lo riconosce, alla fine dell’opera, e dice:

“..l’altro, questa creatura delle tenebre,
la riconosco invece come la mia.

In un certo senso, si sta prendendo la responsabilità del comportamento oscuro di Calibano. Come facciamo a essere sicuri che Shakespeare abbi letto il saggio di Montaigne sui cannibali nella traduzione di Florio? La risposta è che c’è un passaggio specifico che Shakespeare ha preso in prestito e trasformato in poesia. Uno dei cortigiani naufragato sull’isola è il saggio e probo Gonzalo – lo stesso che ha aiutato Prospero. Quando Prospero è stato mandato in esilio, Gonzalo ha preparato per lui alcuni libri, del cibo e del vino. Sta viaggiando con i cortigiani e descrive l’isola mentre camminano. Immagina quello che avrebbe fatto se fosse stato il capo dell’isola:

“Farei che nella mia comunità
si facesse ogni cosa al contrario
di quello che si fa solitamente:
niente commerci, di nessuna specie;
niente magistrature;
l’ignoranza per legge obbligatoria;
ricchezze, povertà, servitù, niente;
obbligazioni, successioni, termini,
confini, decime, vigneti, niente;
niente metalli, grano, vino, olio;
sconosciuto il lavoro: tutti in ozio;
anche le donne, ma innocenti e pure.
Nessuna sorta di sovranità…

Quindi non vorrebbe alcun sistema di classi, nessun sistema legale o matrimonio, e niente lavoro. Tutti dovrebbero vivere insieme in armonia con gli altri e con la natura, in un mondo simile, come dirà in seguito, all’età d’oro della mitologia classica. Questo discorso di Gonzalo di repubblica ideale, l’età dorata restaurata sull’isola de La Tempesta è mutuata da Shakespeare proprio dal saggio di Montaigne sui cannibali. Quello che descrive Gonzalo è esattamente come Montaigne descrive la società “barbara” del Nuovo Mondo.

Montaigne dice:

È una nazione deove non c’è alcun tipo di commercio, nessuna conoscenza di magistrature. Non vengono usati numeri, non c’è superiorità politica. No uso di servizio tra ricchi o poveri. No contratti, successioni, divisioni od occupazioni. Nessuna parentela ma si vive in comune. Nessun abbigliamento se non quello naturale. Nessuna concimazione nei campi. Nessun uso di vino, mais o metallo. Le parole che indicano menzogna, tradimento, dissimulazione, avarizia, invidia e maldicenza non sono mai state udite fra loro.”

Questa è l’immagine che Montaigne dà dello stato perfetto. Si riferisce al filosofo classico Platone, che aveva immaginato in questo modo lo stato ideale. E Montaigne dice che basta andare tra le tribù di cannibali in Brasile per trovarne uno identico. È un’idealizzazione straordinaria. Porta a una lunga tradizione letteraria che ha idealizzato, in senso positivo, la società indigena arrivando a formulare il concetto del “buon selvaggio”.

Ma Shakespeare, come Montaigne, vede sempre entrambe le facce della questione. Calibano tenta di abusare di Miranda; ci viene detto da Prospero e dalla stessa Miranda. Si comporta, in modo inequivocabile, come un selvaggio. È una questione aperta la causa che lo porta a compiere questo gesto ma non possiamo dire che Calibano è completamente idealizzato. Si unisce a Trinculo e Stefano nella ribellione contro Prospero.

Quindi, cosa esattamente, alla fine, dobbiamo pensare di Calibano? É il “nobile selvaggio” del saggio di Montaigne? O è una creatura plasmata dall’oscurità di Prospero?

SHAKESPEARE: viaggi di scoperte. Lo scrigno

L’ambientazione de La Tempesta, come ci dice il testo stampato, è un’isola disabitata. È un’isola, allo stesso tempo, che potrebbe trovarsi nel Mediterraneo e nel Mar dei Caraibi. È una storia che, allo stesso tempo, accade nel presente (intorno al 1610, quando Shakespeare la scrive) e nel passato (sono numerosi i riferimenti al mondo classico); ma soprattutto accade in un mondo allargato (si pensi ai viaggiatori che trasportavano le persone nel Nuovo Mondo).

Un’isola deserta. Naturalmente, non disabitata nel senso letterale del termine, altrimenti sul palco non ci sarebbe nemmeno un attore. Piuttosto, si tratta di un’isola deserta dove sono giunte delle persone, cacciate in esilio. Prospero è arrivato qui dopo essere stato esiliato da Milano, dove il fratello minore, Antonio, gli ha sottratto il regno. Il re di Napoli (che è in combutta con suo fratello usurpatore) e la sua nave arrivano sull’isola in seguito alla tempesta invocata da Prospero. L’isola si sta riempendo.

Ariel è lo spirito dell’isola. È sempre stato lì. Ma apprendiamo, nel momento in cui si svolge il primo atto, che qualcuno prima di Prospero è già stato in esilio sull’isola. Veniamo a sapere che una donna di Algeri, di nome Sicorace, è stata accusata di stregoneria. Viene condannata ma, poiché incinta, viene mandata in esilio piuttosto che messa a morte (esisteva una convenzione per cui la pena di morte non poteva essere applicata alle donne incinte). Viene accusata di aver giaciuto con il diavolo, per cui suo figlio viene considerato figlio del diavolo. Sicorace viene mandata sull’isola dove muore, lasciando il figlio Calibano.

Egli è sull’isola da molto più tempo di Prospero. In un certo senso, l’isola è sua e Prospero gliel’ha sottratta quando è arrivato, si è insediato e ha creato il suo piccolo impero. Questo spiega come mai alcune persone hanno interpretato La Tempesta come un’allegoria del processo di colonizzazione, della creazione dei grandi imperi coloniali e hanno inteso Calibano come in nativo oppresso. Non è esattamente ciò che è accaduto, dopotutto; egli non è un nativo dell’isola. Ma il modo in cui Prospero prende il controllo su Calibano – non ultimo facendolo ubriacare e usandolo per scoprire le parti fertili dell’isola, dove sono i frutti che si possono mangiare e quali sono velenosi, dove si trova l’acqua potabile – è lo stesso con cui gli indigeni sono stati trattati ai tempi del colonialismo.

Calibano, figlio di Sicorace. Che personaggio è? Quando Trinculo e Stefano, il buffone e il cantiniere della nave, lo incontrano per la prima volta non sanno cosa fare di lui. Egli si sta nascondendo sotto il mantello e Trinculo esclama:

“Ehi, oh! Che vedo qui? Un uomo? Un pesce?
Morto? Vivo?… Dev’esser proprio un pesce,
all’odore di rancido e stantio,
come di baccalà… Uno strano pesce!”

Trinculo poi prosegue:

“Se fossi in Inghilterra, come un tempo,
a possedere un pesce come questo,
anche dipinto sopra un cartellone,
non ci sarebbe bifolco laggiù,
che non fosse disposto, la domenica,
a pagare uno scudo, per vederlo

È davvero una bella battuta “Se fossi in Inghilterra, come un tempo”. Sul palco, dove si sta mettendo in scena l’opera, si deve usare l’immaginazione per creare un altro luogo. Con una battuta del genere si strappa subito una risata al pubblico coinvolgendolo nelle vicende.

“Da quelle parti, un mostro come questo,
ad avercelo in proprio, ti fa ricco.
Qualsiasi rara bestia, in quel paese,
può fare la fortuna d’un cristiano.
Non darebbe il becco d’un quattrino
per aiutare un mendicante stroppio,
ma son prontissimi tutti a buttarne dieci
per ammirare un pellerossa morto

Trinculo sta dicendo che, se fosse in Inghilterra, sarebbe già diventato un uomo ricco mostrando il mostro, un umano che assomiglia a un pesce. Dice che gli inglesi non darebbero nemmeno un quattrino per aiutare un mendicante ma sarebbero disposti a spendere dieci volte tanto per un pellerossa morto. Significa che avrebbero pagato volentieri per vedere i nativi americano mostrati come oggetti divertenti e attrazioni esotiche.

Questa osservazione di Trinculo ha un fondamento storico. Il periodo elisabettiano era, come abbiamo già visto, un tempo di esplorazioni e viaggi. Uno dei più grandi viaggiatori era un uomo di nome Martin Frobisher. Partì per cercare di scoprire il Passaggio a Nord Ovest, dove oggi c’è il Canada e sono molte le narrazioni su questa impresa.

Deed Box, 1577 - 1600

Esiste uno straordinario piccolo scrigno. È un oggetto abbastanza comune – molte persone ne possedevano uno con lo scopo di conservarvi documenti importanti. Quello che c’è di unico su questo è che, quando lo si apre, ha un rivestimento. E questo rivestimento sono alcune pagine di un libro. È il libro di Hakluyt intitolato “Viaggi”, la grande collezione di viaggi e navigazioni del popolo inglese. Questa pagina in particolare riguarda Frobisher, il suo secondo viaggio alla scoperta di Cataya. Quindi il proprietario dello scrigno, o la persona che lo ha venduto, ha preso le pagine dal libro di Hakluti e, con esse, ha rivestito lo scrigno. Era una cosa abbastanza comune da fare, usare vecchi librscrigno_internoi – magari libri consumati o vecchi – come rivestimenti. Ma è una coincidenza pazzesca che è accaduto proprio con le pagine che parlano di Forbisher. Ogni volta che lo scrigno veniva aperto, c’era un piccolo ricordo di Forbisher.

Ora, che cosa ha portato con sé Forbisher dalla ricerca del Passaggio a Nord Ovest? La risposta è un Inuit. Oggi potremmo chiamarlo Eschimese. Era messo in mostra e trattato come un’attrazione da fiera. È morto abbastanza in fretta, certamente perché esposto ai germi delle malattie europee.

Era un fatto abbastanza usuale, ed è a questo che si riferisce Trinculo quando parla dell’idea di esibire Calibano in un mercato. È uno dei momenti in cui il contesto del selvaggio Nuovo Mondo emerge con più chiarezza e forza all’interno de La Tempesta.

SHAKESPEARE: “La Tempesta” e il Nuovo Mondo

La Tempesta è l’ultimo lavoro di Shakespeare. È una delle opere più brevi ma è anche una delle più ricche, più complesse e più gratificanti – specialmente se pensiamo al contesto in cui viene scritta.

L’origine dell’opera sembra risalire alla pubblicazione di una serie di pamphlet e altri documenti riguardanti il naufragio di una nave. Un nuovo governatore è in viaggio per arrivare nella colonia della Virginia, recentemente fondata; c’è un naufragio e i passeggeri approdano nei Caraibi, alle Bermuda. Una volta tornati in Inghilterra, viene pubblicato il pamphlet. Nella scena d’apertura de La Tempesta di Shakespeare c’è proprio una tempesta e molti dei termini tecnici e nautici sono ripresi da quelli che vengono definiti i Pamphlet delle Bermuda. Shakespeare aveva contatti con molti membri della Compagnia della Virginia, che avevano fondato la colonia nel Nuovo Mondo. Il paradosso sta nel fatto che l’opera non è ambientata esplicitamente nel Nuovo Mondo, nelle Bermuda. Insolitamente, quando l’opera va in stampa, ha un luogo di ambientazione particolare: un’isola deserta, un luogo selvaggio ma non un luogo ben identificabile. Ciò che apprendiamo nel corso della storia è che il naufragio avviene mentre il re di Napoli, la sua famiglia e la corte stanno tornando per mare da un viaggio a Tunisi, in Nord Africa, dove è avvenuto il matrimonio tra la figlia e un re africano.

Ora, se si va da Tunisi a Napoli, sembra abbastanza improbabile che, per quanto la tempesta possa essere vigorosa, ci si ritrovi deviati verso le Bermuda, isole dei Caraibi. Quindi, in un certo senso, l’opera è ambientata in un’isola deserta da qualche parte nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, parecchi riferimenti, inevitabilmente, attirano la mente del pubblico verso il Nuovo Mondo. Prospero, duca legittimo di Milano, agisce sotto l’influenza di Ariel, che può volare intorno al mondo. Ad un certo punto, Prospero gli chiede cosa è accaduto alla barca dopo il naufragio. È stato lo stesso Prospero a invocare la tempesta, allo scopo di portare i suoi nemici sull’isola sulla quale è stato esiliato in modo da avere un confronto con loro.

Dice Ariel:

“La nave regia è sana e salva all’àncora,
in quella stessa fonda insenatura
donde tu mi chiamasti quella volta,
per mandarmi, nel cuore della notte,
a cercarti rugiada alle Bermude,
sempre battute da un mare in tempesta

Quindi la nave del re è nascosta. Il nome Bermuda richiama immediatamente alla mente il Nuovo Mondo, i Caraibi.

Di nuovo, all’apice dell’opera, la figlia di Prospero, Miranda (che era solo una bambina quando è arrivata sull’isola deserta e che non ha mai visto un essere umano prima) vede i cortigiani, i duchi e il principe Ferdinando, del quale si innamora, ed esclama:

“Oh, meraviglia! Quanta bella gente!
Come con belle le creature umane!
Oh, splendido, smagliante nuovo mondo
che contieni abitanti come questi

Prospero, sapendo che molte di queste persone hanno una natura malvagia, dice ironicamente e cinicamente:

“Nuovo solo per te, Miranda mia

Quella frase, “Nuovo Mondo”, evoca inevitabilmente il Nuovo Mondo della Americhe perché Shakespeare vive in un momento di scoperte, esplorazioni. È durante il regno della regina Elisabetta che i viaggiatori inglesi iniziano ad esplorare il Nuovo Mondo, a piantare la bandiera inglese sulla costa americana. Quando Shakespeare è ancora un ragazzo di nemmeno 10 anni, Sir Francis Drake circumnaviga il globo. Quando torna, nel 1580, è diventato una vera celebrità. Egli aveva mostrato, una volta per tutte, che il mondo era rotondo e che era possibile navigare intorno ad esso.

Il fascino per Nuovo Mondo è evidente anche nella cartografia del tempo. Questo è il momento in cui vengono fatti, per la prima volta, i mappamondi, quel tipo di mappamondo che un gentiluomo avrebbe voluto nella sua biblioteca. È significativo, a questo proposito, che la compagnai teatrale di Shakespeare scelga come nome per il suo nuovo teatro, nel 1599, proprio il nome di “The Globe”. Ma è anche il periodo in cui il mondo comincia ad essere mappato. Mercatore aveva fatto le prime proiezioni del mondo su una mappa già all’inizio del XVI secolo ma poi era caduto in disgrazia; alla sua era stata preferita quella di un uomo di nome Ortelius. Un olandese di nome Joos Van Hondt acquista dai nipoti di Mercatore gli schizzi originali e li usa, aggiungendo le proprio abilità di cartografo per la produzione in serie di nuove mappe.

Joos Van Hondt, il cui nome latinizzato era Hondius, è una figura molto interessante. Nasce in Olanda ma, a causa delle guerre di religione (tra gli olandesi protestanti e gli spagnoli cattolici) è costretto all’esilio a Londra. Intorno al 1580, è stato molto utile nel pubblicizzare il viaggio di Drake e infatti ha creato una mappa, dettagliata, basata sulle consultazioni con le mappe fatte durante il viaggio di Drake, dove ha mostrato lo stesso Drake sbarcare sulla costa occidentale dell’America.

È tornato nella nativa Olanda nel 1590, stabilendosi ad Amsterdam ed è qui che ha prodotto le sue mappe, inclusa la splendida mappa delle Americhe – il Nuovo Mondo. Le isole dei Caraibi sono disegnate con una precisione mai vista prima e ci sono tutta una serie di dettagli incredibili che mostrano diversi tipi di imbarcazioni – barche dalla Florida, dalla Groenlandia e anche dal Giappone. La barca nel mezzo dell’Atlantico è molto simile a quella che immaginiamo naufragare ne La Tempesta. Hondius mostra interesse per gli abitanti del Nuovo Mondo: nella parte bassa della mappa, ci sono immagini meravigliose degli indiani del Brasile.

mappa hondius

Questa è un’immagine del Nuovo Mondo, dei Caraibi, lo “smagliante Nuovo Mondo”. Inghilterra, Irlanda e Spagna sono nell’angolo in alto a destra della mappa, e sono estremamente piccole. Da essere al centro del mondo, all’improvviso l’Europa diventa solo parte del mondo – gli orizzonti si sono allargati. La Tempesta di Shakespeare è uno dei testi chiave per esplorare questi orizzonti allargati nella Londra di Shakespeare.