SHAKESPEARE: la scoperta della stregoneria

Nell’Inghilterra di Shakespeare o nella Scozia di re Giacomo tutti credono alle streghe? Sorprendentemente, la risposta è no.

Esiste un libro intitolato “La scoperta della Stregoneria” scritto da Reginald Scot e pubblicato nel 1584. La pagina iniziale è straordinaria:

La scoperta della stregoneria è la prova che i patti e i contratti delle streghe con il diavolo e gli spiriti infernali sono concezioni erronee e immaginarie. Lo stesso si dica per la scoperta di quanto sia esteso il loro potere nell’uccidere, tormentare, consumare o guarire i corpi di uomini, donne e bambini, animali attraverso ciondoli, filtri, pentacoli, maledizioni e scongiuri.”

Allo stesso modo, le pratiche non cristiane e le relazioni inumane di cercatori di streghe, attraverso il tempo, nell’estorcere confessioni tramite la tortura e il terrore, sono ampiamente documentate. È necessario che si sappia per disingannare i giudici, le giustizie e i giurati prima che emettano sentenze su persone povere e ignoranti che frequentemente sono accusate e condannate di essere streghe e maghi.”

Quindi Reginald Scot, 1584, sostiene che l’idea delle streghe che hanno rapporti con il diavolo, che congiurano con gli spiriti, usando i loro poteri per uccidere e tormentare gli uomini, le donne e gli animali, è interamente falsa, un atto di congiura ed è davvero necessario che si sappia affinché i giudici e gli avvocati non mettano a morte povere, vecchie e miserabili donne accusate di stregoneria quando invece sono semplicemente povere, vecchie, magari brutte o impopolari.

La Scoperta della stregoneria di Scot è un testo straordinariamente moderno; mostra una mente razionale al lavoro, spazzando via tutte le vecchie superstizioni. Ci dice quali erano le superstizioni e molti dettagli che ritroviamo nella descrizione delle tre streghe di Shakespeare.

Scot dice che è tutta finzione, non bisogna crederci. Forse che la credenza nella stregoneria inizi a morire? È certo che verso la fine del regno di Elisabetta, ci sono stato pochi processi per stregoneria e anche un ammorbidimento degli atteggiamenti. La stregoneria è stata spesso considerata un’impostura papistica, qualche cosa associata alla vecchia chiesa romana cattolica in opposizione alla nuova dottrina protestante.

Le cose cambiano quando re Giacomo diventa re di Inghilterra perché Giacomo crede nelle streghe. Nel 1590, quando è re di Scozia, salpa per la Danimarca per incontrare sua moglie e ritornano insieme. La donna è la regina Anna, figlia del re di Danimarca. Sulla via del ritorno, incontrano una terribile tempesta e inizia a diffondersi la voce che il popolo stia complottando per uccidere il re e la regina, e che per farlo usi la stregoneria. Si dice che siano state le streghe a invocare la tempesta. A Berwick-upon-Tweed, sul confine tra Inghilterra e Scozia, viene immediatamente organizzato un grande processo e trecento sono accusate di stregoneria.

Giacomo è assolutamente convinto che ci siano spiriti maligni e che le streghe siano reali, ed egli si ritiene dotato dell’arte necessaria per distinguere una strega vera da una falsa. Scrive anche un trattato intilato “Demonologia” nel quale attacca apertamente Reginald Scot. Quando sale al trono inglese nel 1603, il suo trattato viene ristampato a Londra. Originariamente era stato pubblicato a Edimburgo. Quindi Shakespeare si trova nella posizione di scrivere un’opera che coinvolge le streghe e destinata a un re che prende la stregoneria molto seriamente.

Allo stesso tempo, durante il regno di Giacomo, c’è molto più scetticismo circa la stregoneria e molte persone iniziano a dire che credere alle streghe è sinonimo di una società primitiva. Questo forse implica che la Scozia del re, dove i processi per stregoneria sono ancora frequenti e le punizioni crudeli, sia un posto più primitivo dell’Inghilterra. In un certo senso, il re fa un passo indietro nel credere alla stregoneria.

Può essere che quello che sta facendo Shakespeare, creando questa ambiguità circa il fatto che le streghe siano emissari del diavolo o frutti dell’immaginazione fervida di Macbeth, è accontentare re Giacomo, libero quindi di dare la propria interpretazione all’opera. Shakespeare non avrebbe mai detto o fatto nulla che potesse alienargli il re e patrono della sua compagnia.

Una della ragioni per cui Giacomo sostiene che le streghe sono reali è che vuole far credere alle persone che esista anche la magia buona. Nella magia delle streghe c’è il male, è magia nera e coinvolge anche il diavolo; re Giacomo crede, però, anche nel potere positivo della magia, una sorta di magia bianca, un potere magico che appartienea al re. Il re, per Giacomo, è un rappresentante di Dio sulla terra. Crede appassionatamente nel diritto divino dei re, che in qualche modo il re possieda poteri religiosi e sia simile ad una divinità.

Re Giacomo è quel re che ripristina il costume antico del “tocco”, dove le persone affette da una malattia nota come scrofola (adenite tubercolare) vengono toccate dal re e magicamente guariscono. È una credenza che risale al tempo di Edoardo il Confessore, medesimo tempo di quando Macbeth siede sul trono di Scozia.

In una scena cruciale, verso la fine del Macbeth, ci spostiamo nella corte inglese. C’è un paragone tra la buona corte di Edoardo il Confessore e le corte del cattivo tiranno, Macbeth, in Scozia e questo è ciò che sentiamo dire a proposito di Edoardo il Confessore. Malcolm, che è arrivato alla corte inglese per fornire assistenza nella battaglia contro Macbeth, chiede dove sia il re, cosa stia facendo e il dottore replica in questo modo:

MALCOLM —Va bene. Ne riparleremo dopo.
Entra un medico.
(Al medico)
Dite di grazia, sta venendo il re?

MEDICO —Sì, signore. C’è già di là una folla
che attende d’essere da lui curata;
povera gente, la cui malattia
è ribelle alle massime risorse
dell’arte medica; ma ad un suo tocco
essi guariscono istantaneamente,
tale è la santità
delegata dal cielo alla sua mano.

Il medico esce e la scena prosegue:

MACDUFF — Qual è la malattia di cui parlava?

MALCOLM — La chiamano “la malattia del re”:
un miracolosissimo intervento
di questo buon sovrano,
cui sono stato spesso testimone.
Come faccia a sollecitare il cielo
a intervenire, lo sa solo lui;
ma gente affetta da uno strano male,
solo corpo enfiato e coperto di pustole
(una pietà a vederli!) che la scienza
è impotente a guarire, lui la cura
appendendo soltanto al loro collo
una medaglia d’oro,
e recitando insieme pie preghiere.
E questo suo potere taumaturgico
si dice ch’egli voglia tramandare
a chi dovrà succedergli sul trono.
Oltre a questa virtù straordinaria,
egli possiede il dono celestiale
della divinazione; ad altri doni
sembra che aleggino intorno al suo trono,
molteplici divine ispirazioni
che lo proclamano pieno di grazia.

Qui abbiamo un’immagine del re come di qualcuno in contatto con il paradiso che usa il suo potere, potere che il dottore non possiede, per curare la malattia nota come scrofula. Questa capacità di guarigione passa da un re ad un altro; e con questa, dice Malcolm, Edoardo il Confessore ha ereditato anche il dono della profezia. È come se dopo tutte le profezie demoniache delle streghe avessimo una profezia di un re buono e di uno stato ben governato. Lo stesso re Giacomo crede di essere discendente di Banquo. Ciò che è importante nell’opera è che il figlio di Banquo, Fleante, scappa dagli assassini quando Macbeth cerca di ucciderli entrambi. Nella scena quando le streghe ritornano e mostrano a Macbeth una visione dei futuri re di Scozia, è la discendenza di Banquo quella che si vede, i re discendono da lui. Quando questo viene messo in scena a corte, è come se la linea di discendenza arrivasse fino al presente, allo stesso re Giacomo, discendente proprio di Banquo. Il re pieno di grazia, dotato di poteri magici buoni.