Shakespeare nella stampa del XVIII secolo

La sopravvivenza di un’intera produzione letteraria dipende – o almeno era così prima dell’avvento di Internet – dalla stampa. Dalla fine del XVII secolo, Shakespeare inizia a diventare popolare nei teatri. Inizia a essere ritratto, e i critici incominciano a scrivere di lui con ammirazione, anche se mantengono ancora qualche dubbio.

Il primo folio delle sue opere, pubblicato postumo dai suoi amici e colleghi nel 1623, viene ristampato nel 1632 e di nuovo nel 1664 e di nuovo dopo il 1680. Quello che serviva era modernizzare, di volta in volta, il linguaggio. Il linguaggio inglese si era evoluto, particolarmente nell’ortografia e nella punteggiatura. È nel XVIII secolo che un drammaturgo e scrittore di nome Nicholas Rowe produce la prima edizione moderna di Shakespeare. Invece della vecchia versione a doppia colonna e dell’ortografia obsoleta, il libro viene diviso in sei volumi, l’ortografia modernizzata per dare l’aria di un lavoro nuovo e al passo con i tempi. Rowe include nella sua edizione anche la vita di Shakespeare: “le opere di Sir William Shakespeare raccolte in sei volumi, riviste e corrette, con un accenno alla vita e agli scritti dell’autore, di N. Rowe, 1709”.

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Questa è la prima occasione in cui la biografia di Shakespeare viene raccontata, sebbene in parte fosse nota tramite il sentito dire o i pettegolezzi piuttosto che grazie a documenti effettivi.

Quindi Rowe mette le basi per la scolarizzazione delle opere di Shakespeare e viene seguito, nel XVIII secolo, da una serie di altri editori, spesso poeti e scrittori stessi. Dalla fine del XVIII secolo, la biblioteca di qualsiasi gentiluomo deve includere una raccolta completa, finemente rilegata in pelle, delle opere di Shakespeare, accuratamente edita sulla base dei testi originali, ma con le note per spiegare termini obsoleti o riferimenti storici.

Nel teatro, le opere vengono eseguite sempre più spesso, ma le versioni non sono le stesse contenute nelle edizioni stampate da Rowe e da successori come Pope. In teatro, i lavori vengono ancora adattati per conformarsi alle convenzioni del tempo. Esistono moltissime edizioni teatrali. Esitono le trascrizioni delle versioni delle opere messe in atto nel XVII e nel XVIII secolo e non sono affatto come li immaginiamo leggendo i testi autentici. storia di king learQuesta è  “La storia di Re Lear, messa in atto al Queen Theatre, rivista e modificata, di N. Tate”. È stata scritta da Nahum Tate; la sua versione prevede un lieto fine in cui Lear viene rimesso sul trono e Cordelia, la figlia virtuosa, si sposa con Edgar. Nell’opinione di Nahum Tate, una tragedia dovrebbe includere le morti dei personaggi malvagi ma la ricompensa e un premio per quelli virtuosi. Cordelia è la figlia virtuosa. Lei non dovrebbe morire (come nel testo originale di Shakespeare), quindi il testo viene modificato; giustizia poetica deve essere fatta – Cordelia deve sopravvivere.

Poi abbiamo Macbeth. Shakespeare ha modificato la descrizione originale delle fatidiche sorelle contenuta nelle Cronache Holinshed, ma le sue streghe vengono di nuovo modificate nel teatro del tardo XVII secolo. Questo diventa “Macbeth, una tragedia. Con tutte le alterazioni, gli adattamenti, le aggiunte e le nuove canzoni. Ora messo in scena al Duke Theatre”.macbeth Perché ora abbiamo i teatri al coperto al posto di quelli all’aperto, ci sono spettacolari macchinari che possono essere usati sul palcoscenico. Puoi far volare le streghe su manici di scopa, e mentre volano puoi far cantare loro un paio di canzoni. Il Macbeth viene rivisto come un teatro musicale. Oppure abbiamo il Riccardo III. Il manager-attore Colley Cibber, una grande celebrità del teatro del primo XVIII secolo, ha prodotto la sua versione, “La tragica storia di re Riccardo III, come è stata messa in scena al Teatro Reale di Drury Lane, contenente le angustie e la morte di re Enrico VI”. Potrà sembrare strano perché la morte di Enrico IV avviene appunto nell’Enrico IV e non nel Riccardo III. Quello che ha fatto Cibber è prendere spunto dall’Enrico IV per alcuni grandi e importanti discorsi e metterli in bocca a Riccardo III prima che diventi re. Cibber, che recitava proprio la parte di Riccardo III, ha voluto ottimizzare il suo ruolo.

Ha anche aggiunto alcune poche righe che Shakespeare non ha mai scritto. Quando respinge il suo seguace, il duca di Buckingham, dice:

Tagliategli la testa! È troppo per Buckingham”

Questo è forse uno dei versi più famosi – ma era di Cibber, non di Shakespeare (quando Laurence Oliver fa il film di Riccardo III, dopo la Seconda Guerra Mondiale, include anche il verso contenuto nell’adattamento di Cibber). Verso la fine del 1700, quasi tutte le commedie di Shakespeare sono entrate nel repertorio teatrale. Ma la maggioranza di queste sono versioni alterate anche se solo in alcuni dettagli. A volte è il linguaggio, a volte la trama e sempre per renderli adeguati al XVIII secolo.

Romeo e Giulietta per esempio, ora prevede un balcone al posto di una finestra. E nel 1770, un uomo di teatro chiamato John Bell ha prodotto una serie di edizioni. Tra queste “Otello, una tragedia di Shakespeare, come è stato messo in scena al Teatro reale in Drury Lane, ristampato dal libro del suggeritore, con il permesso dei manager, del suggeritore Mr Hopkins”.

Quindi, essere un appassionato di Shakespeare alla fine del XVIII secolo significava avere a disposizione due differenti raccolte dei suoi lavori, il testo di lettura e il testo della rappresentazione teatrale. Probabilmente il testo per la lettura preferito sarebbe stato quello del grande letterato del tempo, Samuel Johnson. Nel 1765, ha prodotto la bibliografia completa di Shakespeare divisa in otto volumi, pieni di note – note esplicative ma anche commenti critici sulle opere.

I volumi si aprono con una magnifica prefazione, in cui parla della grandezza di Shakespeare come scrittore. Qui, Johnson confuta una volta per tutte la vecchia critica francese (il criticismo neoclassico) che non voleva la mescolanza di tragedia e commedia, secondo la quale re e pagliacci non potevano stare nella stessa opera. Johnson dice che “le opere di Shakespeare non sono né tragedia né commedie. Piuttosto, sono rappresentazioni realistiche che ci mostrano la vita così com’è. Nella vita reale, le cose tragiche e comiche vanno avanti insieme”.

Johnson prosegue dicendo che “nella vita reale, un gruppo di persone sta tornando da un funerale; allo stesso tempo un altro gruppo di persone sta andando fuori al bar. Questa è la vita. Shakespeare non è conforme alle regole dell’arte come stabilito in epoca classica, ma fornisce uno specchio alla natura”. Questo è ciò che sostiene Johnson nella sua prefazione.

Niente potrebbe piacere a molti e per lungo tempo se non delle rappresentazioni di carattere generale…Shakespeare è, primo fra tutti gli scrittori, il poeta della natura…il poeta che può mostrare ai suoi lettori uno specchio fedele dei costumi e della vita. I suoi personaggi…sono la vera e propria progenie della comune umanità, quella che sempre ci fornirà il mondo, e l’osservazione si trova sempre”.

I personaggi di Shakespeare ci mostrano gli esseri umani come sono realmente. Johnson dice che possiamo leggere Shakespeare e trovare i personaggi nel mondo che ci circonda. Sono opere davvero universali. È con questa idea di Shakespeare quale genio universale che la sua centralità nella tradizione letteraria dell’Occidente viene pienamente ristabilita nella metà del XVIII secolo.