MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la fascicolazione (parte 3)

Quando si fascicola un manoscritto (cioè se ne determina la struttura per assicurarsi che non vi siano parti mancanti), le segnature e le testatine rappresentano un aiuto estremamente valido, non solo per il rilegatore medioevale ma anche per lo studioso moderno.

Le testatine (parola o parte di una parola che corrisponde alla prima parole del folio di un nuovo fascicolo, come per i moderni dizionari) erano poste alla fine del fascicolo precedente (generalmente nell’angolo inferiore destro ma, a volte, soprattutto in Italia, al centro del bordo inferiore) in modo da garantire che il rilegatore, il cui compito era legare insieme tutti i fascicoli, fosse in grado di rispettare la giusta sequenza.

Un esempio di testatina è quella della traduzione di Wycliffe in inglese di sei salmi e risalente al tempo di Chaucher (ca. 1400).
John Wycliffe (ca. 1331- 1384) era un filosofo e teologo inglese, don (una sorta di tutor) di Oxford e riformatore noto per aver tradotto la Bibbia in inglese. I suoi seguaci erano conosciuti con il termine di Lollardi.

  • Pagina 16 verso: si noti che la testatina è stata parzialmente tranciata quando il manoscritto ha subito una nuova rilegatura. Molto spesso le testatine venivano rimosse durante restauri successivi.
  • Pagina 17 recto: inizio di un nuovo fascicolo. La testatina è parte del Vangelo di Matteo 19:28.

“Jhesus seide to hem, Truli I seie to you, that ye that han forsake alle thingis,
and han sued me, in the regeneracioun whanne mannus sone schal sitte in the
sete of his maieste, ye schulen sitte on twelue setis, demynge the twelue
kynredis of Israel”

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il
Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del
mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele.

La testatina consiste nelle parole ye schulen.

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SHAKESPERE: Enrico V

Enrico V. Solo il nome fa pensare immediatamente alla congiura che porta alla guerra. Enrico V è il grande eroe militare di Shakespeare. Tutti conoscono questi versi:

“Once more unto the breach, dear friends, once more. Cry God for Harry, England and Saint George”

“We few, we happy few, we band of brothers”

“Alla breccia, miei prodi, un altro assalto. Dio con Enrico, Inghilterra e San Giorgio”

“Noi felicemente pochi, questa nostra banda di fratelli”

L’Enrico V è il lavoro più patriottico, la grande opera sulla guerra, sul trionfo dell’Inghilterra. Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, Wiston Churchill fu coinvolto da vicino nella produzione di un film su Enrico V da parte di Laurence Olivier.
E questo film, che esce nelle sale nel 1944, si apre con una dedica alle truppe di mare e di aria coinvolte nello sbarco in Normandia, il D-Day. Fu prodotto per risollevare il morale della nazione in un momento cruciale della guerra. Ma la rappresentazione della guerra in teatro è più complicata di quello che si pensa. È interessante dare un sguardo attento all’Enrico V, sia per il contesto storico sia per il testo in sé.

Iniziamo con il contesto storico. In tutta la prima metà della sua carriera, Shakespeare è un poeta della guerra. La sua Inghilterra è in guerra dal momento in cui arriva a Londra nel 1588 fino al 1603 quando la regina Elisabetta muore. La guerra viene combattuta per mare. C’è paura di una invasione.  L’Inghilterra è una nazione protestante, ed è una piccola isola vicino alle coste dell’Europa. E il continente europeo è dominato dalla Spagna e dalla Francia. Ma gli spagnoli sono i più forti di tutti. La maggior parte dell’Italia, per esempio, è occupata dalla Spagna. A contendere il primato agli spagnoli ci sono solo gli olandesi.

Ed è proprio nel 1580 che gli olandesi iniziano una guerra contro la Spagna. Dopo la Riforma Protestante, la monarchia cattolica spagnola non è più vista di buon occhio dagli stati del nord Europa. Gli inglesi mandano truppe per combattere negli paesi Bassi contro gli Spagnoli ed aiutare gli Olandesi nella loro ribellione. Ben Jonson, drammaturgo amico di Shakespeare, combatte nei Paesi Bassi. Poi, nel 1588, proprio l’anno in cui Shakespeare si vede per la prima volta a Londra, arriva l’Armada Spagnola. Ed è noto a tutti quale grande flotta avessero.
Sir Francis Drake, navigatore e politico inglese, sta giocando a bocce a Plymouth Hoe quando vede avvicinarsi la flotta e con tipico sangue freddo inglese finisce di giocare prima di scendere a colpire i galeoni spagnoli. Anche la fortuna prende parte alla sconfitta dell’invincibile Armada. Una tempesta spazza via le navi della flotta. Questo viene visto dagli inglesi come un segno di Dio, il loro Dio protestante, intervenuto a loro favore. Il pericolo è scongiurato e gli Spagnoli sono stati sconfitti. Negli anni seguenti, dal 1590 in poi, si scontreranno ancora. Non sarà che alla fine del regno di Elisabetta e l’inizio di quello di Giacomo che si arriverà alla pace con la Spagna.iow052both
Esiste una medaglia molto famosa che celebra la sconfitta dell’Armada. È stata creata da un miniaturista di nome Nicholas Hilliard. Ed è chiamata “Danger Averted”. Da un lato, abbiamo la figura della regina Elisabetta. E si può vedere lo scettro e il globo che tiene in mano. Sul retro, c’è un albero – simbolo di Elisabetta che tiene unita la nazione, la nazione inglese. Simbolo di vittoria e armonia.
E sullo sfondo, si vedono piccole navi intagliate che rappresentano la flotta spagnola. C’era un’opera, messa in scena subito dopo la sconfitta dell’Armada da una compagnia nota con il nome di “Gli Uomini della Regina”– sono la compagnia leader quando Shakespeare inizia la sua carriera. Non sappiamo se anche lui sia stato uno degli Uomini della Regina, ma certamente era a conoscenza di questa compagnia. Il loro spettacolo era chiamato “Le famose vittorie di Enrico V”. Fu scritto in tempi brevissimi. Ne è sopravvissuto solo qualche frammento. E ad essere onesti, non è un granché.
Ma non c’è dubbio che fosse uno spettacolo patriottico, scritto sulla base di un confronto  tra le grandi vittorie di Enrico V contro la Francia, tra cui la sua vittoria ad Agincourt dove un ristretto numero di uomini riesce a battere il grande esercito francese, e la sconfitta dell’Armada, dove una piccola flotta inglese sconfigge la grandissima flotta spagnola.

E Shakespeare nel 1590, si accinge a rivisitare la storia delle famose vittorie di Enrico V.
Non allude direttamente alla regina Elisabetta nel suo lavoro, anche se fa un riferimento esplicito al suo generale, il conte di Essex. C’è infatti un momento verso la fine dello spettacolo dove il coro, che presenta l’azione al pubblico, parla del Conte di Essex che ritorna trionfale dall’Irlanda. Quindi lo spettacolo è molto esplicito nel comparare le campagne militari di Enrico V con quelle del tempo della regina Elisabetta. L’obiettivo di Shakespeare come drammaturgo è di portare il mondo militare sul palcoscenico pur con risorse limitate come quelle del teatro.
Non è come nel film di Laurence Olivier nel 1944, dove ci sono migliaia di comparse a cavallo che attraversano in campo come se si fosse davvero ad Agincourt. Quello che ci dice il coro nell’Enrico V è che l’immaginazione del pubblico è necessaria per portare in vita il mondo della guerra, il mondo della battaglia.
Il coro dice, recitando nel prologo:

“Oh, aver qui una Musa tutto fuoco,
per poterci levar sempre più in alto
nell’immaginazione,
verso più intense e luminose sfere!!
E un regno per scenario,
principi per attori,
una platea di re per spettatori
di questa grande rappresentazione! […]

Come potrebbe mai questa platea
contenere nel suo ristretto spazio,
le sterminate campagne di Francia?”

È necessaria l’immaginazione per rendere vero e vivo lo spettacolo. Dovete immaginare gli eserciti sul palco, per esempio quando, a Dover, la flotta inglese sta per salpare alla volta della Francia per combattere contro i Francesi.

Il coro ritorna e invita il pubblico a immaginare la flotta.

“Immaginate dunque d’aver visto
partire il nostro re ed imbarcarsi
dal molo di Southampton per la Francia,
di tutto punto armato; e la sua flotta
coi vessilli di seta far ventaglio
gagliardamente al giovinetto Febo.
Giocate ancora con la fantasia
e cercate con essa
di contemplare i mozzi delle navi
che velosi s’arrampicano su
per le sartie di canapa;
ascoltate lo stridulo fischietto
che dà comandi tra confusi suoni;
guardate le vele di tela gonfiarsi
all’invisibile soffio del vento
e sospingere sul solcato mare
gli enormi petti dei ventruti legni
a fendere gli altissimi marosi.”

La flotta reale sta per salpare alla volta di Harfleur. Inevitabilmente, immaginando la flotta sulla via della vittoria, il pubblico pensato alla storia del loro tempo, alla guerra di Elisabetta, e contemporanea alla guerra di Enrico V.

“THE TABLES TURNED” di Wordsworth: testo, traduzione e analisi

Cattura1 Cattura2Una delle prime cose che si percepisce è la sensazione di assistere a un dialogo fra due persone. Il poeta inizia rivolgendosi direttamente a qualcuno che lui conosce e dandogli il primo consiglio “Su! Su! Amico mio”. Ne segue subito un altro “lustrati gli occhi”.

Poi c’è una domanda molto specifica: “perché tutta questa fatica e preoccupazione?”. Questo schema viene ripetuto anche nel distico seguente. In questo modo l’inizio del componimento risulta vitale, drammatico, immediato. E anche molto colloquiale. A tratti comico e divertente. Lo si nota nell’uso di espressioni come “toil and troble” e “you’ll grow double”. Il tono comico è inoltre rafforzato dall’uso di parole multisillabiche in rima come “troble” e “double”. Queste parole multisillabiche sono una caratteristica comune della poesie comica. E qui, Wordsworth le usa per creare un senso di spensieratezza e divertimento. In questa stanza di apertura, il poeta mantiene il senso di una spontanea conversazione che si svolge in un determinato tempo e luogo.

Nella seconda stanza, per esempio, egli descrive il momento preciso del giorno nel quale si svolge il poema: quando il sole diffonde “il suo primo, dolce, giallo serale”. E all’inizio della quarta stanza, egli risponde direttamente nell’ascoltare il canto degli uccelli: “E ascolta! Come canta spensierato il tordo!”. Quindi, tutta la poesia ha un sentimento immediato di leggerezza ed energia in apertura. Ma è anche un poema nel quale il poeta cerca di insegnare qualcosa all’amico al quale si rivolge. Questo è un soprattutto un componimento sull’educazione. È una vera e propria lezione.

Un verso chiave di tutta la poesia si trova alla fine della quarta stanza:

“Let nature be your teacher”
“Lascia che la natura sia il tuo insegnante”

La poesia non ha sempre un messaggio chiaro, ma qui ce n’è uno che appare subito evidente. Il poeta sta cercando di convincere il suo interlocutore che imparerà molto di più dalla natura che dalle forme classiche di insegnamento offerte dai libri o dagli uomini saggi. Molte delle strofe del poema sono strutturate secondo questa contrapposizione di due diversi tipi di educazione. Da una parte, abbiamo la forma tradizionale, dall’altra quella naturale.

Nella terza stanza, l’educazione fornita dai libri è contrastata dalla saggezza contenuta nel canto di un fannello di bosco, un piccolo uccello della famiglia dei fringuelli. Il poeta sostiene che il canto del fannello contiene di certo più saggezza di quanta ne abbia un libro. Nella strofa seguente, si fa riferimento a un altro uccello, il tordo, e lo si paragona ad un vero e proprio predicatore. La parola predicatore suggerisce addirittura un insegnamento religioso. Quindi qui il poeta sta sostenendo che la natura può provvedere ad un insegnamento religioso o spirituale. Questa idea è enfatizzata dalla rima, nel testo originale, tra “preacher” e “teacher”. Il concetto di natura come forza spirituale o religiosa è inoltre sottolineata attraverso l’uso di immagini. La frase “vieni avanti alla luce delle cose” è un riferimento al poeta stesso che invita il suo amico, nella seconda strofa, a chiudere i libro e uscire nella luce del sole serale. Ma contiene anche un senso di illuminazione e rivelazione. Uscire e immergersi nel mondo naturale porta a una sorta di illuminismo.
Wordsworth usa anche, a tratti, un linguaggio che ricorda quello religioso quando tenta di descrivere i benefici della natura: “essa ha un mondo di pronto benessere”. Quindi i benefici della natura sono una benedizione. Rendono le nostre menti e i nostri cuori benedetti, come fossero stati benedetti da un prete o fossero stati favoriti da Dio.
Nella parte iniziale della poesia, la natura è rappresentata dagli uccelli, il fannello e il tordo. Ma ora il poeta la presenta come una figura femminile o personificata. Essa ha un mondo di pronto benessere. Nella sesta strofa, Wordsworth contrappone di nuovo il potere educativo della natura con l’insegnamento convenzionale. Questa volta, la natura è rappresentata da una foresta primaverile. Questa può insegnare molto circa l’uomo, “sulla cattiva moralità e sul bene”, molto più dei saggi.

Nel corso di tutta la poesia, Wordsworth ha posto dei parallelismi tra le forme tradizionali di conoscenza, ottenute dai librie dagli uomini saggi, e la verità e la saggezza spontanee fornite dell’educazione della natura. Nel penultimo verso della poesia, l’autore fornisce il più eclatante e potenzialmente controverso confronto tra questi due diversi modi di fare esperienza del mondo. Mentre la legge portata dalla natura è dolce, un approccio scientifico e razionale al mondo ne distorce la sua bellezza: “il nostro intelletto impiccione deforma le felici forme delle cose. Uccidiamo per analizzare”. Con questo verso sembra di allontanarsi molto dalla leggerezza dell’apertura della poesia.
Ma nella strofa finale, Wordsworth torna allo stile diretto dell’inizio. Mettendo da parte scienza e arte, consigliando l’amico di chiudere il libro, con un riferimento alle foglie o le pagine del libro, “vieni avanti e porta con te un cuore, che guarda e riceve”, e invitandolo di nuovo ad uscire. Imparare la lezione che la natura ha da offrire, è necessario per il poeta affinché si possano comprendere tutte le sue forme e preparare il cuore a riceverle. Questa enfasi sulla necessità di aprirsi al potere della natura per poterne beneficiare a pieno, è un punto chiave nel pensiero di Wordsworth.

JANE EYRE: un classico senza tempo

Jane Eyre è un capolavoro assoluto. È anche uno dei primi classici al quale mi sono avvicinata, ormai molti anni fa. Da allora rimane un “comfort book” al quale mi rivolgo quando ho bisogno di una lettura di qualità.

Jane Eyre è il secondo romanzo di Charlotte Brontë ma il primo a essere stato pubblicato. Il primo, “The professor”, era stato respinto molte volte mentre Jane Eyre viene pubblicato immediatamente e riconosciuto come qualcosa di nuovo nella letteratura inglese. La Brontë invia il manoscritto all’editore londinese Smith, Elder & Co.. La nota di accompagnamento mostra la sua volontà di mantenere lo pseudonimo maschile di Currer Bell:

“Ti mando via ferrovia un manoscritto intitolato Jane Eyre, un romanzo in tre volumi […]. Sarà meglio in futuro usare l’indirizzo Sig. Currer Bell con il quale celo Miss Brontë, dal momento che c’è il rischio che alcune lettere non mi vengano recapitate.”

Molti scrittori famosi, tra cui Wordsworth, le consigliano di desistere ritenendo la scrittura di un romanzo un passatempo non adatto a una donna. Ma la Brontë non è disposta a rinunciare. E quando il manoscritto viene pubblicato scatena immediatamente una polemica che riguarda principalmente se l’autore, Currer Bell, sia un uomo o una donna.
Nella prefazione alla seconda edizione, Bell ritiene doverosa qualche parola di ringraziamento:

“I miei ringraziamenti devono svolgersi in tre direzioni.
Al Pubblico, per l’indulgente orecchio che ha prestato a una storia semplice e di poche pretese.
Alla Stampa, per il vasto campo aperto, dal suo schietto suffragio, a un oscuro aspirante.
Ai miei Editori, per l’aiuto portato dalla loro sensibilità, dalla loro decisione, dal loro senso pratico e dalla loro franca liberalità a un autore sconosciuto e non raccomandato.
La Stampa e il Pubblico sono per me solo personalità generiche, ed io devo ringraziarli in termini generici; ma i miei Editori sono ben definiti, e così pure alcuni critici generosi che mi hanno incoraggiato come solo uomini di gran cuore e di alta mente sanno incoraggiare uno sconosciuto che lotta con tutte le sue forze; a loro, e cioè ai miei Editori e a questi recensori particolari, io dico sinceramente: Signori, vi ringrazio dal
profondo del cuore.”

E poi si rivolge ad un’altra categoria di persone: coloro che hanno messo in dubbio la validità del suo romanzo.

“Conventionality is not morality. Self-righteousness is not religion. To attack the first is not to assail the last. To pluck the mask from the face of the Pharisee, is not to lift an impious hand to the Crown of Thorns….”

“Il convenzionale non è il morale. L’ipocrisia non è religione. Combattere i primi non significa aggredire i secondi. Strappar la maschera dal volto del fariseo, non è alzare un’empia mano verso la Corona di spine.”

Le reazioni al romanzo vanno essenzialmente in due direzioni. Da una parte ottiene un successo istantaneo: molte sono le lodi da parte di critici e scrittori come W.M. Thackeray. D’altra parte riceve anche critiche durissime perché mette in discussione la maggior parte delle istituzioni vittoriane (educazione, famiglia, ceto e religione).
Elizabeth Rigby nel 1848 scrive sul “The Quarterly Review” che Jane è la “personificazione di uno spirito degenerato e indisciplinato”. Il romanzo viene considerato anti-cristiano. La Rigby inoltre sostiene che “nessuna donna reale avrebbe potuto dare vita a un personaggio così inverosimile e poco femminile. In caso contrario, si sarebbe trattato di una donna che aveva da tempo rinunciato alla compagnia del suo stesso sesso”.
Poi la vera identità di Currer Bell viene svelata al mondo: Bell non è un uomo ma una donna. Matthew Arnold, poeta e critico letterale britannico, scrive che “la signorina Brontë ha scritto un romanzo odioso, spiacevole, convulso, limitato. Uno dei libri più sgradevoli che abbia mai letto. La mente della scrittrice non contiene altro che rabbia e furia”.
D’altra parte, nel XIX sec. le donne scrittrici erano considerate pazze nonostante il loro numero fosse in aumento. Questo per diversi motivi: una sostanziale crescita della classe media, una dicotomia tra mondo industriale e mondo pre-industriale patriarcale, aumento del divario tra vita privata e pubblica.
I romanzi domestici ci rimando l’immagine di un mondo sociale fratturato e in rapido mutamento, un mondo domestico specchio di un nuovo ordine sociale. Per la prima volta si parla dei conflitti e delle contraddizioni nella società socio-economica. E si arriva alla conclusione che ognuno può avere la propria gratificazione emotiva nella sfera privata nonostante le disuguaglianze in quella pubblica.

LA TRAMA
Ma torniamo a Jane Eyre. Il romanzo narra la storia di una bambina orfana che cresce con alcuni zii e cugini che però la deridono e maltrattano. Viene quindi mandata in un orfanotrofio. Le condizioni qui sono dure, soprattutto in seguito alla morte della sua migliore amica dovuta alle pessime condizioni igieniche del luogo. Nonostante tutto, Jane prosegue gli studi e diventa un’insegnante. Dopo un breve periodo di insegnamento nell’orfanotrofio, trova impiego presso Thornfield Hall come istitutrice di Adele, figlia adottiva del proprietario Mr. Rochester. L’incontro con l’uomo la destabilizza, ne è attratta nonostante lui mostri un carattere burbero e taciturno. Egli la chiede in sposa ma devono fare i conti un segreto che si cela in quella dimora: l’uomo si scopre essere già sposato con Bertha Mason, una donna diventata ormai pazza e tenuta segregata nella casa. Jane scappa e trova rifugio presso un reverendo, St John, e le sue sorelle. Anche lui la chiede in moglie ma Jane rifiuta perché nutre ancora dei sentimenti per Mr. Rochester. La giovane decide quindi di tornare a Thornfield Hall e qui trova tutto devastato: il castello è bruciato, Bertha è morta e Mr Rochester ha perso la vista. Il lieto fine arriva quando Jane e il padrone di casa finalmente si sposano e l’uomo riesce e recuperare, anche se solo parzialmente, la vista.

IL GENERE
Non è facile associare Jane Eyre a un genere solo. È un:

  • romanzo autobiografico: mescola fatti veri della vita e della personalità di Charlotte Brontë con fatti inventati. Questa è una convenzione tipica dei romanzi realistici: fatti veri e un narratore autorevole.
    Come Jane, anche Charlotte è orfana ed è costretta a vivere con il padre a una zia. Anche l’autrice frequenta la Clergy Daughter’s School che può essere paragonato all’istituto di Lowood del romanzo. La morte di Helen Burns, migliore amica di Jane, ci ricorda che anche la Brontë ha subito la perdita delle sorelle a Cowan Bridge. Entrambe hanno lavorato come governante. Anche Jane ha un trasporto per un uomo maturo e dal carattere difficile, il docente Heger.
  • romanzo di formazione: troviamo crescita, educazione e maturazione della giovane. Ci ricorda il Bildungroman tedesco. Spesso in questo tipo di romanzo c’è un orfano che deve affrontare grandi sfide o un protagonista maschile che cerca di realizzarsi. Jane Eyre è il primo romanzo di formazione al femminile nella storia della letteratura inglese. Jane cerca amore, giustizia, felicità e libertà.
  • romanzo gotico: vi ritroviamo gli elementi oscuri del Romanticismo come le rovine, l’alienazione e la follia. Ci sono mistero e soprannaturale, castelli o case con fantasmi, sogni e incubi, un alter ego, imprigionamento fisico, psicologia del terrore e dell’orrore.
    Possiamo riscontrare una vera architettura gotica della mente: i terrori dell’infanzia sono gli spettri nella stanza rossa e poi a Lowood. L’ambientazione di Thornfield è misteriosa: in casa si sentono rumori e suoni come la risate.
    La Brontë è stata capace di mescolare elementi fantastici a una struttura narrativa realistica. Le favole, i sogni profetici e l’immaginazione sono usati per rendere partecipe il lettore di emozioni e stati d’animo.
    romance: una ragazza buona ma sfortunata e oppressa dalla famiglia trova il principe azzurro e la felicità, dopo aver superato molte prove. Jane però non vuole una resa totale: vuole sposarsi ma alle sue condizioni. Non vuole dipendere da un uomo.

I PERSONAGGI

  • Jane Eyre: è seria, discreta, dedita allo studio e poi al lavoro. Non è particolarmente bella ma è buona e gentile. Ha perseveranza e determinazione. È una sorta di female gothic: eroina afflitta da una figura patriarcale malvagia e da una famiglia tremenda. Affronta il pericolo e si salva grazie ad elementi soprannaturali nei momenti cruciali. Lo stesso Rochester la vede come un essere soprannaturale: ninfa, elfo, strega, fata o silfide.
  • Rochester: gentiluomo ricco, è forte, severo ma colto. Possiamo paragonarlo a un Byronic Hero: aristocratico, affascinante, lunatico, solitario, misterioso, intelligente e irresistibile per le donne.
  • Bertha Mason Rochester: crea suspence e terrore. È folle e “mostruosa”, vaga per casa come uno spettro e una vampira.

I TEMI
Il romanzo tratta soprattutto le disuguaglianze sociali, cosa mai accaduta prima nella società vittoriana.
Condanna la superficialità della upper class: Blanche Ingram è altera, John Reed è cattivo e deviato, Eliza Reed è fredda e quasi disumana, lo stesso Rochester è immorale e lussurioso.
C’è un elogio dei nuovi valori della middle class: moralità, etica e lavoro
No ai pregiudizi sociali: l’uguaglianza deve basarsi sulla moralità e sulla spiritualità.

Un altro tema che sta a cuore alla Brontë è la condizione delle donne. Prima le donne vengono descritte come schiave imprigionate, legate ai lavori di casa (donna=angelo del focolare), hanno poche possibilità di lavoro (istitutrice o insegnante). Ma con il mutare della società, cambia anche l’idea della donna: ricevono un’educazione che diventa un vero status symbol, imparano a gestire una casa, acquisiscono nuove competenza come sapere il francese, il latino, il ricamo, la musica e la pittura.

IN CONCLUSIONE
Jane Eyre non è un vecchio libro che si studia a scuola. È uno di quei romanzi che tutti dovrebbe leggere perché ha segnato una svolta nella letteratura inglese e non solo. È un romanzo complesso ma così semplice da amare. Leggerlo è come avere la Brontë seduta al nostro fianco che ci legge una storia davanti al camino. È un’esperienza.
Virginia Woolf ha scritto: “la scrittrice ci tiene per mano ben stretti, ci fa vedere quello che lei vede, non ci lascia neppure un istante. Alla fine, siamo pieni del genio, della veemenza, dell’indignazione di Charlotte Brontë”.