MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la miniatura (parte 5)

Questa raccolta delle vite dei Santi, scritta a Napoli intorno al 1480, offre uno spettacolare esempio di manoscritto incompiuto. Sfogliando le sue pagine, l’intera sequenza della produzione si apre davanti ai nostri occhi. Le fasi non sono state svolte in maniera inversa dall’inizio alla fine, come ci si potrebbe aspettare, partendo dal presupposto che gli artisti abbiano iniziato dal principio; piuttosto, sono i fogli al centro del volume – a giudicare dai nomi dei santi, elencati in ordine alfabetico – che sono più incompleti. Un esame attento rivela che gli artisti medioevali, anche non lavorando in un gruppo, eseguivano il loro lavoro metodicamente in una serie di passaggi. Interi gruppi di miniature venivano prodotte contemporaneamente, passo dopo passo.
I disegni preparatori precedevano la doratura che precedeva la pittura che, a sua volta, veniva applicata strato dopo strato.

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la miniatura e l’oro (parte 4)

La miniatura dei manoscritti medioevali è nota, forse, soprattutto per l’uso degli sfondi d’oro. L’oro era applicato prima della pittura perché, se applicato in seguito, avrebbe potuto causare danni alla superficie intorno. Il pigmento dorato poteva essere applicato in forma liquida, in polvere o sospeso in soluzione per produrre un effetto opaco. Si usava invece la foglia d’oro, applicata sopra un mastice come la ceralacca, poi brunita fino a renderla estremamente lucente. L’uso di polvere d’oro è diventato abbastanza comune nel XI secolo, ispirato da esempi nell’arte del Medio Oriente bizantino, una regione con la quale l’Occidente è entrata sempre più in contatto attraverso i pellegrinaggi e le Crociate. Abbastanza spesso, l’oro brunito era anche lavorato, cioè inciso o stampato a motivi, molto simili al metallo medioevale, per aumentarne la brillantezza della superficie.

Questa è singola pagina tratta da un salterio tedesco del XIII secolo ed è un ottimo esempio, molto ben conservato, di oro brunito impiegato sia come sfondo che come elemento di decorazione.

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la miniatura (parte 3)

Osserviamo questa pagina singola. Arriva da un grande manoscritto legale del XIII secolo. Il testo, tuttavia, risale alla metà del XII secolo. Il libro a cui appartiene la pagina era il Decretum del canonista e giurista Graziano, originario dell’Italia.
Questo manoscritto, tuttavia, arriva dalla Francia dell’inizio del XIII secolo. Lo si intuisce osservando la scrittura e la delica
ta e fine decorazione a inchiostro.

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Era un periodo critico per lo sviluppo della legge canonica medioevale. Il testo in sé è accuratamente organizzato con segni chiari a marcare l’inizio dei paragrafi e una scrittura davvero minuta, un commentario al testo, che rimanda, attraverso l’uso dei lemmi, ai passaggi corrispondenti all’interno del testo stesso. Era un libro per studiosi e per avvocati.

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Se si volta pagina, dal lato del pelo al lato della carne, il lato più liscio, si vede un bellissimo disegno a tutta pagina. È una tavola di consanguineità. E come suggerisce il nome, l’oggetto di questa illustrazione sono i gradi di parentela richiesti per permettere un matrimonio
medioevale.
Questo è un aspetto fondamentale nel contesto della primogenitura e della successione; ed è stato un argomento al quale aristocrazia, papato e avvocati hanno prestato molta attenzione. Il disegno è affascinante di per sé per il soggetto che rappresenta.

Mostra un uomo identificabile con Cristo dal momento che presenta una grande aureola.decretum-04 Sta allargando le braccia, il mantello trattenuto dalle mani, rivelando un grande tavolo di fronte a sé. Al centro e posto direttamente sopra il suo inguine c’è un cerchio che rappresenta la radice di ogni famiglia. A ventaglio su entrambi i lati, ci sono i nomi dei cugini, le sorelle, i fratelli, gli zii, i prozii e così via fino al settimo grado di parentela. E nel medioevo, sette gradi di parentela era ciò che veniva richiesto per permettere un matrimonio tra due parenti.

All’incirca nello stesso periodo in cui è stato fatto questo manoscritto, nel primo XIII secolo, al IV Concilio Lateranense, queste regole così rigide vennero ammorbidite perché semplicemente non erano applicabili. E il fatto che, in questo caso, ci siano sette gradi di parentela e non quattro suggerisce, anche se non prova, che questo manoscritto sia stato fatto prima del Concilio Lateranense dopo il quale le regole erano ben diverse.

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Questa datazione è in perfetta sintonia con lo stile della scrittura e della decorazione a filigrana delle iniziali. Ora, ciò che è particolarmente affascinante di questo disegno è il fatto che sia incompleto. Si può vedere chiaramente che la rigatura è stata effettuata a piombo o piombino, simili alle nostre matite moderne. La rigatura per un disegno è diversa da quella che serve per un testo.
In un testo, le linee sono più vicine. La rigatura qui sembra essere servita come una sorta di impalcatura per i disegnatori, che usavano tre strumenti per realizzare questa illustrazione. È stato usato un righello per tracciare le righe, non solo quelle per il testo a piombino ma anche quelle del disegno stesso in inchiostro marrone. Poi è stato usato un compasso per creare i cerchi e un pennello per disegnare i contorni delle figure, così come il disegno interno. Questa illustrazione non era di certo il prodotto finito. Se fosse stato terminato, sarebbe stato dipinto a colori molto vivaci e brillanti, soprattutto rosso e blu e alcuni elementi, forse l’interno e le cornici esterne, sarebbero stati coperti con oro brunito.
Questa illustrazione rimane quindi una notevole testimonianza dei metodi di lavoro dei miniaturisti medioevali. Lo scrivano sarebbe stato il primo, usando la rigatura come guida. Il disegno sarebbe stato aggiunto in seguito, all’interno dei cerchi e infine, sarebbe stato il turno del miniaturista. Per qualche ragione, a noi sconosciuta, questa pagina è rimasta incompiuta.

MANOSCRITTI MEDIOEVALI: le miniature (parte 2)

In questa copia del XV secolo del Somme le roi, un trattato sui vizi e le virtù scritto nel 1279 dal domenicano Laurent per Filippo III di Francia (da qui il titolo dell’opera), lo scrivano ha lasciato lo spazio per una miniatura di apertura o un frontespizio che non è mai stato eseguito. Ce ne sono diversi di questi spazi in tutto il manoscritto, alcuni con la rigatura, altri no. Il fatto che le illustrazioni non siano mai state aggiunte è un chiaro indizio della divisione del lavoro.

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: le miniature (parte 1)

Contrariamente alla credenza popolare, che associa la parola “illuminazione” alla luce riflessa dallo sfondo d’oro delle miniature medievali e la parola “miniatura” alle loro piccole dimensioni, entrambe le parole derivano dal termine latino “minio”, un pigmento rosso a base di minio che, nei primi manoscritti medioevali, spesso era utilizzato per le lettere maiuscole e le rubriche (altra parola derivante dal latino “rubeus” che significa rosso).

Per averne un esempio, basta osservare la raccolta di testi patristici, scritta tra il 1175 e il 1200, molto probabilmente in Francia. Il grande buco nella pergamena è il risultato di una minuscola imperfezione, molto probabilmente una puntura di insetto che si è ingrandita quando la pelle è stata tirata durante il processo di fabbricazione della pergamena.

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I manoscritti medioevali erano creati seguendo diverse fasi, spesso da una squadra di artigiani specializzati. Nel caso dei codici miniati, il lavoro dello scrivano rappresentava solo l’inizio. I manoscritti incompiuti possono dirci molto circa il processo attraverso cui venivano prodotti.
Durante la scrittura di un manoscritto che doveva anche essere decorato, uno scrivano doveva lasciare gli spazi per le iniziali e le miniature. Se il copista e il miniaturista non erano la stessa persona, come capitava spesso, allora era necessario uno stretto coordinamento per evitare che qualcosa andasse storto. In questa Armonia del Vangelo con la prefazione di Vittorio di Capua, scritto in Belgio o Germania nel 1150-1175 circa, troviamo prove evidenti dello spazio lasciato dallo scrivano per il miniaturista, una chiara indicazione della pianificazione attenta necessaria in ogni fase della produzione.

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la fascicolazione (parte 4)

Per un esempio di testatina del tardo XIV secolo in un manoscritto italiano, si può fare riferimento a una cronaca storica nota come Polistorio:

  • Pagina 50 verso: la testatina si trova al centro del bordo inferiore
  • Pagina 51 recto: la testatina di questo nuovo fascicolo si trova insieme a quella
    della pagina precedente

In questo caso le testatine forniscono solo la prima sillaba della seconda parola.

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Un’altra caratteristica di alcune testatine italiane è di essere scritte in verticale lungo la linea che delimita la giustificazione del testo. Un esempio è una copia del tardo XV secolo delle Satire di Persio, scritta in carattere italico, probabilmente a Venezia.

  • Pagina 8 verso: testatina
  • Pagina 9 recto: inizio di un nuovo fascicolo

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la fascicolazione (parte 3)

Quando si fascicola un manoscritto (cioè se ne determina la struttura per assicurarsi che non vi siano parti mancanti), le segnature e le testatine rappresentano un aiuto estremamente valido, non solo per il rilegatore medioevale ma anche per lo studioso moderno.

Le testatine (parola o parte di una parola che corrisponde alla prima parole del folio di un nuovo fascicolo, come per i moderni dizionari) erano poste alla fine del fascicolo precedente (generalmente nell’angolo inferiore destro ma, a volte, soprattutto in Italia, al centro del bordo inferiore) in modo da garantire che il rilegatore, il cui compito era legare insieme tutti i fascicoli, fosse in grado di rispettare la giusta sequenza.

Un esempio di testatina è quella della traduzione di Wycliffe in inglese di sei salmi e risalente al tempo di Chaucher (ca. 1400).
John Wycliffe (ca. 1331- 1384) era un filosofo e teologo inglese, don (una sorta di tutor) di Oxford e riformatore noto per aver tradotto la Bibbia in inglese. I suoi seguaci erano conosciuti con il termine di Lollardi.

  • Pagina 16 verso: si noti che la testatina è stata parzialmente tranciata quando il manoscritto ha subito una nuova rilegatura. Molto spesso le testatine venivano rimosse durante restauri successivi.
  • Pagina 17 recto: inizio di un nuovo fascicolo. La testatina è parte del Vangelo di Matteo 19:28.

“Jhesus seide to hem, Truli I seie to you, that ye that han forsake alle thingis,
and han sued me, in the regeneracioun whanne mannus sone schal sitte in the
sete of his maieste, ye schulen sitte on twelue setis, demynge the twelue
kynredis of Israel”

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: voi che mi avete seguito, quando il
Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del
mondo, siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele.

La testatina consiste nelle parole ye schulen.

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la fascicolazione (parte 2)

Un altro metodo consiste nell’usare semplicemente lettere maiuscole. Lo si può osservare nella copia umanistica dell’Ephemeris Belli Troiani dello scrittore Ditti Cretese. È un resoconto degli eventi attribuiti al leggendario compagno di Idomeno durante la Guerra di Troia. È una versione latina tradotta dall’originale greca ed era molto popolare nel Medioevo:

  • pagina 4 verso: segnatura A alla fine del primo fascicolo (angolo in basso a
    sinistra)
  • pagina 18 verso: segnatura B alla fine del secondo fascicolo (angolo in basso a
    sinistra)

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la fascicolazione (parte 1)

La raccolta del fascicolo ci mette davanti alla sfida che doveva affrontare qualsiasi scrivano medioevale. Tentare di costruire un “quaderno” di fogli di carta e poi scriverci sopra. Si scopre abbastanza rapidamente che se si scrive continuamente su un singolo bifolium il testo risulterà in disordine e discontinuo nel momento in cui si posizionano tutti i bifolia uno sopra l’altro per formare il volume. Quando veniva scritto un testo (gli scrivani di solito copiavano testi piuttosto che scriverli liberamente), gli scrivani dovevano tenere bene a mente la struttura finita del volume e la successione dei testi.

I copisti impiegano un serie di stratagemmi per assicurarsi che il rilegatore metta i fogli nella giusta sequenza. I numeri, noti come segnature, poste sull’ultimo verso di una raccolta, permettevano al rilegatore di identificare il giusto ordine dei fogli.
Osserviamo il seguente manoscritto della metà del XII secolo; è una copia inglese del Commentario su Luca di Bede il Venerabile. Le segnature sono effettuate con numeri romani, al centro del bordo inferiore:

  • pagina 8 verso: segnatura I
  • pagina 16 verso: segnatura II
  • pagina 24 verso: segnatura III

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MANOSCRITTI MEDIOEVALI: la scrittura (parte 4)

Questo frammento apparentemente poco promettente, preso da una rilegatura, viene da uno dei primi Sacramentari del IX secolo. Il Sacramentario era una raccolta di testi richiesti dal celebrante della Messa. Questo particolare frammento proviene da un Sacramentario che apparteneva al vescovo di Arno di Salisburgo (circa 750- 821). Il testo è scritto in una variante del carattere conosciuto come minuscola carolingia, sviluppatasi alla fine dell’VIII secolo, nel contesto delle riforme amministrative e religiose volute dall’imperatore Carlo Magno. Al posto della grande varietà di caratteri precedenti, molti dei quali piuttosto illeggibili, l’imperatore ha cercato di imporre un carattere normativo che poteva contribuire ad assicurare facilità di comprensione e uniformità delle disposizioni amministrative attraverso territori anche molto lontani dal suo controllo. Il carattere è stato, quindi, uno strumento politico e una forma di espressione politica.
La minuscola carolingia rappresenta una delle innovazioni tecnologiche di maggior successo di tutti i tempi. Enormemente influente, è rimasto il modello per la maggior parte dei caratteri fino allo sviluppo della scrittura gotica alla fine del XII secolo. Ed è stato poi ripreso dagli studiosi umanisti nel tardo XIV e XV secolo che, nella ricerca di copie di testi classici spesso conservati solo in versioni carolinge, scambiarono il carattere per un’autentica forma di scrittura romana. Fu così che la minuscola carolingia divenne la base per i moderni caratteri di stampa “Roman”, ancora oggi in uso.

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La varietà nella forme della minuscola carolingia ha permesso agli studiosi di assegnare frammenti come questo a particolari scriptoria, o laboratori monastici di scrittura o, in alcuni casi, a scrivani individuali. Se si osserva con molta attenzione questo particolare frammento, si noterà che, mentre la maggior parte delle lettere sono in posizione abbastanza verticale, la s alla fine di parole come “doctrinis” e “cognitis” (simile alla f moderna) si inclina piuttosto vistosamente verso destra. È evidente anche l’uso della cediglia sotto la lettera e, come in “sȩculi” o “cȩlestis”, che rappresenta il dittongo ae, come nel latino classico.
Un’altra caratteristica degna di nota della minuscola carolingia è l’uso della separazione della parola. I lettori moderni danno per scontata questa caratteristica. È tuttavia una derivazione di un lento spostamento verso la lettura silenziosa e, con essa, la visualizzazione del testo all’interno della pagina. Nell’antichità classica, quando la maggior parte dei lettori erano in realtà ascoltatori che udivano il testo letto da un oratore, c’era scarso bisogno dello spazio fra le parole. Il lettore che eseguiva il testo conosceva il testo pressoché a memoria e introduceva lo spazio tra le parole semplicemente leggendo e con l’intonazione. La rigatura su questo frammento è quasi invisibile. Questo perché è stata eseguita con un punteruolo e non a penna. Nel primo Medioevo, inoltre, interi quaderni (blocchi di pagine) venivano rigate insieme, in modo che le pagine sotto il foglio superiore ricevessero un segno meno pronunciato rispetto al primo.